Morte. L’arte del tabù

att_271384_0E' curioso come gli usi che un tempo non scandalizzavano alcuno, riproposti oggi siano tanto sconvenienti. Pensiamo all'uso dei defunti a servizio dell'arte e dello studio dell'anatomia. A nessuno fa impressione sapere che Leonardo da Vinci o Michelangelo sezionassero cadaveri per rendere più verosimili le loro figure. Eppure, se oggi un artista annuncia di voler utilizzare un corpo per scopo artistico, lo si considera un provocatore, uno squallido cacciatore di fama e, inevitabilmente, attorno a lui si scatena la polemica. Ci riferiamo all'annuncio dell'islandese Snorri Asmundsson, che su Facebook ha pubblicato il seguente annuncio: «Si cerca cadavere in nome dell’arte».

Asmundsson

Asmundsson

Lo scultore, infatti, intende creare la sua prossima installazione video con la presenza di un corpo senza vita. Si tratterebbe di una sorta di danza macabra che, per rendere al meglio, necessita di un cadavere vero. Oltre alle polemiche e ai commenti del pubblico scandalizzato, sono stati in molti tra i moribondi ad offrirsi; chissà, forse per il piacere di restare in qualche modo immortali.
Ad ogni modo l’artista si è difeso così: «non voglio comprare un cadavere, ma realizzare un lavoro in collaborazione con il defunto, nel rispetto suo e della sua famiglia. Inoltre, il corpo sarà riconsegnato nelle stesse condizioni».
Se la richiesta di Asmundsson sia o meno di cattivo gusto, non spetta a noi dirlo, è davvero tutto relativo. Ai tempi della Londra Vittoriana, ad esempio, non avrebbe suscitato il benché minimo disgusto. Tuttalpiù qualche lite sul prezzo. Magari stabilito a chilo. Però una cosa fa riflettere: nonostante il progresso culturale raggiunto, il tabù della morte persiste come un macigno.
«Ci è capitata una curiosa avventura – aveva scritto Pierre Chaunu - abbiamo dimenticato che si deve morire». Il problema è che non lo abbiamo dimenticato, anzi, la questione ci assilla. Abbandonata la speranza religiosa, fallita l’utopia positivista di sconfiggere la nera Signora, la sola soluzione che abbiamo trovato per affrontare il nostro congedo, è rimuoverlo; far finta che non esista.
E chi ne parla, o sta vivendo questa esperienza, si trova inevitabilmente il vuoto attorno. Ma chissà, attribuire alla vita una bellezza più alta che alla morte, è forse il vero limite dell’uomo. Ci siamo convinti che non vi è nulla per cui valga la pena morire; eppure viviamo per morire. Ma che cosa non piace della morte? Il fatto che una persona si congedi per sempre dalla faccia della terra? Il punto di non ritorno? La non coscienza, o l'imputridire della carne? Eppure la morte non è un incidente; non è innaturale. E non vi è nulla di distorto i essa. La morte è parte di noi e per essa viviamo. Ci cresce dentro come una larva nel bozzolo. Poi, infine farfalla, se ne esce. Liberandoci.
Che male ci sarebbe, dunque, testimoniare un aspetto così naturale?
Il fatto è che la società occidentale proietta le sue paure e le sue insicurezze su tutto ciò che non può dominare, rendendo la natura abominevole.
Dopo il II sec. d. C., ad esempio, i nudi nell'arte ebbero una battuta d'arresto lunga dodici secoli. La dissezione dei cadaveri, infatti, fu vietata dalla Chiesa per molto tempo, e le rare rappresentazioni del nudo mostravano forme muscolari semplici, ridotte a giochi di segni ornamentali. Bisogna aspettare il XIII sec. per tornare alla grande pittura e questo grazie a un’ordinanza dell’imperatore Federico II (1215) e un permesso di papa Bonifacio VIII (1300) che autorizzarono le dissezioni.
Nel XIV sec. i medici bolognesi praticavano le dissezioni dinanzi ai loro allievi e la medicina del Quattrocento, dopo la presa di Costantinopoli (1453) e l’invenzione della stampa (1440), le diffuse nelle scuole.
Grazie allo studio dell'anatomia, dunque, i grandi pittori realizzano i loro capolavori; i fiamminghi dipinsero i primi nudi «realistici», basti ricordare gli Adamo ed Eva di Van Eyck (politico di Saint-Bavon a Gand, 1432) o di Van der Goes (dittico di Vienna, km), che mostrano una nuova cura per i volumi definiti e modellati.
Nel Rinascimento, i pittori italiani appassionati degli studi anatomici, praticavano la dissezione collaborando con i medici stessi. Centro delle ricerche era Firenze e i primi della classe risultarono il Masacci, Andrea del Castagno, Pollaiolo, Verrocchio, Signorelli, quest'ultimo autore degli affreschi nel duomo di Orvieto, che restano il risultato piú spettacolare di tali ricerche.
Poco da aggiungere sugli studi anatomici di Leonardo da Vinci, senza considerare il grande contributo che talenti come lui diedero alla scienza, illustrando i corpi per i trattati di medicina.
Detto questo ecco alcuni cadaveri trasformati dai grandi pittori, in veri capolavori.

A-detail-from-Hans-Holbei-006Hans Holbein - Il corpo del Cristo morto nel sepolcro (1520-1522)
Dostoevskij disse che si potrebbe perdere la fede guardando questo dipinto. Non contiene traccia della risurrezione cristiana. Holbein ha semplicemente dipinto un corpo morto, mostrando la pelle verdastra e i gli arti tesi nel rigor mortis.

 

 

Andrea Mantegna - Compianto sul Cristo morto (c.1490)
Mantegna sfrutta la nuova scienza pittorica rinascimentale per accorciare drasticamente il corpo di Cristo, mostrando le piante dei piedi in avanti in un modo che sottolinea la terribile realtà della morte. Le dolenti testimoniano che questo non è un cadavere qualunque, ma in questo momento Cristo è solo un pezzo di terra. Mantegna dà alla morte un enorme peso scultoreo. cristomorto-mantegna

 

 

 

-douard-Manets-The-Dead-T-001Eduard Manet - Il toreador morto (circa 1864)
Manet mostra un toreador caduto con pennellate apparentemente casuali che si rifiutano di rendere sentimentale la mortalità. Quest'uomo è morto; è un fatto. È un'immagine violenta per noi, perché ci mostra la possibilità sconcertante di poter morire in ogni momento.

 

 

Caravaggio - La Morte della Vergine (c.1605-6)
Questo dipinto è stato respinto dall'ordine religioso che l'ha commissionato agli inizi del XVII secolo a Roma, perché considerato inappropriato per una chiesa. Fonti dell'epoca ci dicono che l'obiezione era che Caravaggio raffigurò la morte in modo troppo realistico. La donna che prese a modello, hanno detto, non era la Vergine Maria, ma una prostituta morta. Ma una donna è morta, e Caravaggio registra la cruda verità. Caravaggios-The-Death-of--005

 

 

 

Elsje_Christiaens,_front_viewRembrandt - Elsje Christiaens penzola dalla forca (1664)
In questo disegno compassionevole, Rembrandt ritrae una adolescente che era stato impiccata per omicidio. I corpi dei giustiziati erano una vista comune nell'Europa del suo tempo, lasciati lì a marcire come monito per gli altri.