MEDIO ORIENTE: COSE DA PAZZI

Pare veramente che alla follia non ci sia limite. La brillante idea con cui il biondo che vive a Washington si è appisolato ieri notte, è degna del miglior manuale dell’idiozia. Pensare di assassinare l’uomo praticamente (dopo forse solo la guida suprema) più famoso ed influente dell’Iran non può che avere un paio di ragioni. La prima, quella di scatenare finalmente una guerra vera e propria contro lo stato degli ayatollah, naturalmente senza “booth on the ground”, che se davvero dovesse cominciare, non si sa dove e come potrebbe andare a finire; la seconda che il nostro cow boy non se ne renda davvero conto e abbia avuto la trovata per cercare di confondere e acque e distrarre l’attenzione dei suoi concittadini dai suoi guai giudiziari (tanto lui quanto il suo principale alleato nella regione, Netanyahu). In realtà ce ne potrebbero essere anche altre, quella di aver deciso di portare a termine il progetto di “chaos creativo” (così davvero è stato battezzato il programma di destabilizzazione del Medio Oriente, manco lo avesse inventato Tremonti..) e di riportare di nuovo l’Iraq indietro di qualche anno e di disintegrare anche quel poco di sviluppo e stabilizzazione che nel frattempo e in qualche modo si era ottenuto.
Naturalmente l’eliminazione di Qassem Soleimani non è che l’ultima delle provocazioni che Usa ed Israele hanno portato a compimento negli ultimi anni e sullo stesso scenario. Non che Soleimani fosse uno stinco di santo, per carità, ma nemmeno diverso da tutti i generaloni della Nato, per dirne una. Fatto sta che, fosse per interesse geostrategico o per qualsiasi altro motivo, il generale iraninano e le sue truppe sono stati i maggiori protagonisti della vittoria sull’Isis in Iraq e in Siria e della conseguente liberazione di buona parte dei territori occupati dal califfato. Insomma, tanto di cappello ai kurdi, ma altrettanto merito alle milizie sciite anche se si sono rese colpevoli di non pochi abusi.
Soleimani è stato accusato dagli Usa di essere stato la mente degli scontri che sono avvenuti i giorni scorsi nei pressi dell’ambasciata Usa a Baghdad, poco più di una sceneggiata visto che l’ambasciata Usa in Iraq è probabilmente la più grande ed inaccessibile tra le rappresentanze diplomatiche (in realtà la sede del viceré, come si sarebbe detto una volta) del pianeta. Naturalmente si omette di dire che l’aviazione a stelle e strisce aveva bombardato le truppe di Soleimani provocando almeno 25 vittime, che Usa ed Israele non si sono mai posti il problema se bombardare o meno gli alleati iraniani in Iraq ed in Siria; semmai si sono chiesti al massimo quando farlo.
Certo è che il bersaglio che stavolta hanno scelto è davvero una grossa preda e pensare che l’Iran o i suoi alleati rinunceranno del tutto ad una rappresaglia diventa altamente improbabile. Sarà fatta una cernita accurata sull’obiettivo da scegliere, ma una risposta è ora quasi inevitabile. Altrimenti le azioni di Usa e Israele continueranno magari portando i loro bombardieri sopra i laboratori di arricchimento di uranio che solo secondo la stampa occidentale stanno cominciando a preparare la bomba atomica. Che poi il livello di concentrazione dell’uranio sia al momento del tutto insufficiente (ne è abissalmente lontano) a realizzare un ordigno, pare ininfluente. È da 40 anni che Usa ed Iran si confrontano e che tra i due stati volano stracci, però fino ad oggi (vedi anche gli ultimi fatti relativi al blocco delle petroliere e alla parziale distruzione degli impianti di raffinazione della Aramco) le azioni sono state più che altro dimostrative. Stavolta le cose potrebbero davvero prendere una piega diversa, Soleimani è troppo importante per far passare la sua uccisione (sarebbe un attentato, ma pare che questo termine per noi occidentali non valga) senza una reazione dura sarebbe un atto di debolezza probabilmente eccessivo. Il generale rappresenta l’ala dura e più intransigente delle truppe iraniane nonchè il trait d’union tra l’Iran i i suoi principali alleati, Hamas, Hezbollah, e per appunto, le milizie sciite iraqene e siriane e capo indiscusso di Al Quds.
Nel frattempo si è rifatto vivo anche Muqtada al Sadr, altro leader sciiita iraqeno che però negli ultimi tempi aveva preso le distanze da Teheran, ma che ancora comanda le truppe (praticamente le uniche) che all’epoca dell’invasione dell’Iraq nel 2003 aveva combattuto contro l’esercito della “coalizione”. Ora ha minacciato di riprendere per mano i suoi soldati e di rispondere all’uccisione di Soleimani. Tra le altre cose, il partito di Al Sadr è parte integrante del governo iraqueno.
Il sud siriano è di nuovo una polveriera e Israele fa di tutto per rendere la situazione in quella zona ancora più destabilizzato; Hezbollah e milizie iraniane sono costantemente oggetto dei bombardamenti dell’aviazione con la stella di David. Vista la situazione generale, non è escluso che prima o poi anche quelli si stanchino di prendersi le bombe in testa e decidano di restituirne un po’ al mittente. In questo caso il Libano sarebbe quasi inevitabilmente candidato ad una delle non rare “invasioni preventive” e nell’area si scatenerebbe di nuovo il caos totale.
Nel frattempo a Baghdad fino a ieri continuavano le manifestazioni da parte di chi, giustamente, ne ha le scatole piene di un governo ipercorrotto e prono rispetto alle decisioni che vengono prese non dal governo stesso, ma da parte di chi esercita in Iraq il vero potere; Usa ed Iran. Qualche tempo fa sostenevo che per quanto legittime, quelle proteste non erano esenti da qualche influenza esterna che come minimo gettava benzina sul fuoco; ora mi pare che quell’ipotesi fosse più che mai giusta.
Forse, l’unica soluzione sarebbe che tutti facessero armi e bagagli, magari soprattutto armi, e se ne tornassero a casa loro. Chissà, magari potrebbe persino funzionare; peggio di così non andrebbe di sicuro.

Docbrino