Matterella e Renzi, ma davvero sono due frutti della stessa natura politica

Per i prossimi sette anni il Colle più alto di Roma avrà il volto di Sergio Mattarella, un immagine severa, qualcuno dice grigia. Come spesso accade alla stampa italiana c'è subito stata la corsa a tessere le lodi del nuovo arrivato prefigurando che la sua presidenza sarà così o colà. Una sorta di “santo subito” che rischia di far diventare banale quanto magari banale non è. Certo la storia personale delle persone conta, conta lo stile, conta la competenza, ma arrivare al Colle non è fatto ordinario e la storia insegna come spesso le persone messe dinnanzi a quel tipo di responsabilità modifichino i loro atteggiamenti ed anche una “acqua cheta” come viene descritto Mattarella potrebbe decidere che è il momento di mostrare gli attributi e da semplice notaio vidimatore di scelte altrui diventare arbitro severo e applicatore integerrimo di una costituzione da sempre violata perfino nella sua essenza. Basti pensare al di là dei contenuti, all'uso smodato dei decreti leggi che dovrebbero essere utilizzati solo per ragioni d'urgenza e che invece sono diventati prassi ordinaria di governo. Vedremo quindi come sarà la sua presidenza. Quindi giudizio sospeso come è giusto sia. Rimane invece la constatazione dello stucchevole atteggiamento e dai commenti di gran parte della stampa ma soprattutto di tanti esponenti politici di primo, secondo, terzo e anche quarto piano. Tutti o quasi all’unisono, si attribuiscono i meriti della scelta, tutti o quasi sono saltati sul carro del vincitore. Tutti poi accolgono con una ovazione l’annuncio fatto dal presidente quando ha comunicato la più scontata ed inevitabile delle affermazioni: sarò un arbitro imparziale. E cosa ci si aspettava dicesse: “sarò schierato, sarò di parte”? Semmai una valutazione sul discorso presidenziale si potrebbe fare sulla sequenza di pensieri costituzionali complessi, insomma il discorso di giuramento del presidente della Repubblica Mattrella è poco politico e molto tecnico, pregno di riferimenti alla Carta costituzionale, quasi una lectio. E non ci si poteva aspettare cosa diversa vista la sua profonda cultura politica che affonda le radici nel cattolicesimo democratico. Quello dove trovano radici temi come i diritti, nel sociale come nella politica internazionale. Insomma, un discorso che contiene una visione della società, della politica e del ruolo istituzionale del Quirinale che in teoria non dovrebbe essere dissimile da quella del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ed invece le parole del premier sono quasi sempre dense di pragmatismo “twitteriano”. Quando mai il premier infatti ha pronunciato discorsi di grande spessore ideologico o che comunque fosse di forte spessore e che contenesse una visione strategica della società. Una differenza palese fra due soggetti che vengono dalla stessa teorica concezione politica democristiana. Non è certo una questione di età, ma forse di quel pressapochismo tipico delle generazioni potiche cresciute e pasciute nella seconda repubblica berlusconiana.