Matteo Renzi ed il suo Governo del “Così è (se vi pare)”

Certo che anche in politica la pirandelliana inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri, è il sale della comunicazione ma non certo della verità, per questo ogni cosa ha un limite, cosi è (se vi pare). Anche per questo tutto si può dire di Matteo Renzi, ma non certo che non sia un bravo comunicatore. Il riconoscimento gli è arrivato anche da Silvio Berlusconi che lo avrebbe voluto nella sua squadra e che invece rischia che avvenga il contrario, è la sua squadra che pian piano scivola verso Renzi. Ma la prova delle capacità comunicative o di intontimento collettivo renziano, si palesa bene nelle sue comparsate televisive, scelte con arte e modulate con maestria dialettica a seconda dell'interlocutore. Così, basta leggere i commenti sui social dopo i suoi passaggi e si capisce come l'ex sindaco di Firenze abbia la capacità di evidenziare sempre e comunque il bicchiere mezzo pieno, anche quando il vuoto prevale. Che sia una platea televisiva o “fisica”, le capacità da “piazzista” di Renzi sono indubbie. Ha il suo stile, certo gretto ed in odore di arroganza, ma piace a molti italiani, per lo stesso fenomeno per il quale, in alcuni rapporti di coppia, a qualcuno piace essere maltrattato e fra un ceffone ed un umiliazione gli cresce con i lividi la sensazione d'amore, almeno finchè non si esagera nel delirio di possesso e nella violenza ed allora il divorzio traumatico diventa l'unica strada. Sarà così fra Renzi e gli elettori? Sarà così anche sulla questione sindacati? Il rischio per il premier è alto. Nella serata di venerdì scorso nel corso della trasmissione “Bersaglio Mobile” su La7 ospite di Mentana, il premier parla a ruota libera dei sindacati. “I numeri della cassa integrazione in quest’ultimo anno sono dimezzati, dice, mi piacerebbe ci fosse più soddisfazione da parte loro. I sindacati possono detestare me, ma il fatto che ci sia la metà della cassa integrazione è segno che ci sono persone che possono tornare a lavorare”. Ovviamente il trucco c'è e si vede, ma Renzi, così come il suo intervistatore, si guardano bene dall'evidenziarlo. C'è stata meno Cassa integrazione perchè sono tante le aziende che hanno chiuso. Ma il passaggio più interessante del Renzi pensiero arriva subito dopo: “Mi piacerebbe arrivare un giorno al sindacato unico, ad una legge sulla rappresentanza sindacale e non più a sigle su sigle su sigle”. Mossa abile quanto pericolosa, il premier cavalca il luogo comune che tanto piace all'imprenditoria italiana, secondo cui la radice di quasi tutti i mali sarebbero i sindacati o meglio certi sindacati. Così si teorizza, probabilmente con un intervento legislativo sulle “rappresentanze” l'idea che dopo il partito della nazione nasca anche il sindacato della nazione e chissà dopo attraverso la riduzione delle troppe tesatae giornalistiche anche l'informazione della nazione. Ovviamente tutto odora o meglio puzza di regime e il luogo comune sui sindacati Renzi rischia diventi un boomerang. Questo non solo per la capacità di mobilitazione delle odiate sigle, ma per il fatto che il luogo comune sui sindacati è simile a quello delle barzellette sui carabinieri. Gli italiani ridono sulle presunte disavventure degli uomini dell'arma, ma quando hanno una emergenza, è alla benemerita che si rivolgono con fiducia. Renzi che probabilmente ha calcato nelle aziende solo i tappeti rossi e non i pavimenti intrisi di olio e grasso, non può sospettare che quando i lavoratori, dal mondo industriale a quello delle scuole e uffici, hanno un problema, alla fine questo trova supporto ed assistenza proprio nei sindacati, criticati spesso giustamente, ma che restano un caposaldo della democrazia di un Paese libero. Ma sul successo di Renzi ci sono anche altri ostacoli, oltre a quelli di mantenere le promesse. Questi ostacoli hanno nomi e cognomi. Sono i suoi ministri. Alfano ad esempio non perde occasione per intestarsi le politiche governative bollandole, spesso non a torto, come di “pura” destra ed evidenziando così il fallimento storico di buona metà delle radici del Pd e non solo della minoraza disubbidiente. Perfino il morigerato ministro dell'economia Padoan in talune occasioni ha perso davvero l'occasione per stare zitto. Una giusto ieri, quando ha commentato la sentenza in tema pensioni della Corte costituzionale. Parole che sono una frizione fra poteri dello Stato davvero pericolose. Criticare le scelte dell'Alta corte che si esprime sui principi, è come criticare le scelte del Presidente della Repubblica, ad esempio nello scioglimento delle Camere. Un governo ha un indirizzo politico sostenuto da una maggioranza parlamentare, agisce con atti formali, per i quali risponde politicamente, altro è la Corte, che è organo neutrale di garanzia. Questa, per definizione costituzionale, deve essere sottratta al controllo politico. La Corte trova infatti la sua naturale esistenza proprio per cancellare dall’ordinamento le leggi o le norme lesive della Costituzione, gli obbrobri perpetrati dal legislatore. Padoan ha detto che la Corte avrebbe dovuto tener conto dell’impatto della sent. 70/2015 in materia di pensioni sui conti pubblici. L’esternazione del ministro è una palese quando maldestra giustificazione per la mancata osservanza della sentenza decisa dal governo con l'imbroglio del “bonus”. Padoan ha dimenticato che quando una legge scompare perché illegittima, non è la Corte a determinarne le conseguenze, ma è il peso del passato che ritorna. Si tratta di una sorta di ritorno temporale al passato o se si preferisce, come nel gioco dell'oca, si torna alla casella di partenza. Insomma abbassare in quella maniera le pensioni era illegittimo e basta. Né in tema di diritto quello di alcuni era più o meno diritto che quello di altri. La conseguenza dovrebbe essere automatica, i soggetti ingiustamente vessati recuperano ciò che non era stato corrisposto. Se il governo non ubbidisce partiranno ricorsi dal certo risultato. Ma se è davvero così, perchè il governo Renzi si espone a future spese e costose sanzioni economiche? La risposta e semplice, il governo che professa la necessità di snellire i tempi della giustizia confida nei tempi lunghi di questa per posporre a futuri bilanci e forse a future maggioranze di governo il problema. Dato un contentino, proprio per non dire di aver fatto “spallucce” alla Corte, Renzi & c hanno deciso di scaricare ai posteri l'onere della sentenza.
Fabio Folisi