Massacro in Burundi, ma la comunità internazionale resta cauta

Quello che si temeva sta ormai accadendo. Le proteste, iniziate ad aprile dopo la decisione del presidente uscente del Burundi Pierre Nkurunziza di candidarsi per il terzo mandato consecutivo e la sua contestata rielezione, hanno trasformato gli scontri tra governo e oppositori in una lotta interna senza precedenti. Per mesi, già nel tardo pomeriggio, si sono sentiti spari e scoppi di granata e la mattina visti corpi senza vita per strada. Si registrano da aprile più di 200 vittime e qualcosa come 240.000 profughi.
L’attacco di venerdì 11 dicembre a tre campi militari sembrerebbe avere fatto scattare, la notte seguente, una vera e propria rappresaglia da parte delle forze dell’ordine in vari quartieri della capitale Bujumbura. La polizia è andata casa per casa e, secondo il suo porta-parola  Gaspard Baratuza, sono state confiscate numerose armi. 90 sarebbero i morti, di cui 8 militari, e 45 gli arrestati. Altre fonti parlano invece di oltre 300 vittime.
Sono stati presi soprattutto giovani Tutsi ma non si tratta di un massacro genocidario, piuttosto del tentativo di risvegliare antichi odi etnici tra gli oppositori appartenenti sia all’etnia Hutu che Tutsi.
Il governo parla dell’uccisione di ribelli, ma le vittime hanno le mani legate e un proiettale sparato nella testa o nel petto, denunciando invece esecuzioni di massa.
Anche il sud del paese è stato interessato da vari attacchi contro postazioni della polizia nella notte di sabato, senza tuttavia fare vittime, secondo quanto riferito dall’amministratore della cittadina Matana Agatha Nduwimana.
La giornata di domenica ha visto nuovi arresti nel quartiere di Ngagara all’uscita della chiesa ma anche nelle case dove sono state eseguite attente perquisizioni.
Chi si oppone al governo viene immediatamente perseguitato e gli stranieri invitati a lasciare il paese, come nel caso del giornalista irlandese Pádraic MacOireachtaigh, da anni presente nella capitale e accusato, in seguito ad un tweet, di “falsa informazione”.
Il portavoce Karerwa  Ndenzako afferma che comunque la situazione riguardo alla sicurezza rimane sotto controllo.
Una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata convocata sabato, ma ha solo ribadito la sua condanna alle violenze, la necessità di aprire un dialogo tra le parti contrapposte tramite la mediazione del presidente dell’Uganda Yoweri Museveni. Si parla dell’invio di osservatori ma non di un intervento diretto richiesto invece dalla società civile burundese.
La comunità internazionale sembra sottovalutare la situazione del Burundi, anche se domenica il Dipartimento di Stato Usa e l’Olanda hanno chiesto ai loro cittadini di lasciare al più presto il paese. Lo stesso aveva fatto il Belgio a fine novembre.
Domenica è stata la giornata a ricordo del massacro di sabato 12 dicembre e in varie parti del mondo sono state organizzate veglie in ricordo delle vittime: a Johannesburg in Sud Africa, Kigali in Ruanda, Nairobi in Kenya ma anche a Parigi, Dallas, Ottawa, Londra… l’Italia continua a tacere.

Danielle Maion