Manifestazione anti Isis a Kabul. In piazza a migliaia, con le donne in prima fila, anche contro l’inerzia del governo del presidente Ghani

Se la notizia verrà confermata e sappiamo quanto è difficile quando si parla di Afghanistan, sarebbe un segnale positivo di risveglio della popolazione e di reazione alla cieca violenza jihadista. Infatti secondo varie fonti, la decapitazione di sette hazara (gruppo etnico che vive prevalentemente in una regione montuosa dell'Afghanistan centrale) fra cui tre donne e due bambini, da parte di miliziani vicini all’Isis ha scatenato dure proteste nella capitale afghana. L’orrore della decapitazione è stato narrato da alcuni testimoni che riferivano l’utilizzo di grandi rasoi. Alcuni attivisti di diritti civili locali hanno rilasciato dichiarazioni ad Al Jazeera riferendo di vivere nel terrore. Simili episodi diventano sempre più frequenti e, nonostante l’altissimo numero di militari presenti, non si vede chi possa porre rimedio e difendere il diritto alla vita dei cittadini. Così migliaia di persone, prevalentemente dell’etnìa colpita ma non solo, secondo fonti riportati dalle agenzie vi erano anche pashtun, urbeki e tajiki, sono scese in strada gridando la loro rabbia contro gli assassini e contro un governo inerme e incapace. Numerosissime le donne presenti alla protesta, un secondo segnale preciso in un paese dove il ruolo della donna è relegato ad essere subalterno. I manifestanti si sono diretti in corteo verso il palazzo presidenziale, dove risiede Ghani, presidente dell'Afghanistan dal 21 settembre 2014, individuato come il responsabile dell’assenza d’un piano di sicurezza rivolto alla popolazione, nonostante tutti i progetti sventolati anche con l’adesione al Bilateral Security Agreement che permette all’esercito statunitense di prolungare la presenza sul suolo afghano. I sette abitanti hazara erano stati presi in ostaggio più di un mese fa da miliziani pro Isis in una località della provincia di Ghazni e trasferiti più a sud in quella di Zabul, confinante col governatorato di Kandahar. Quell’area ha sempre visto una presenza talebana legata al gruppo del mullah Omar, ora la dissidenza interna sposta sempre più elementi sulla sponda dei miliziani favorevoli allo Stato Islamico e alle sue barbarie. L’unica dichiarazione rilasciata dal capo della polizia di Kabul Abdul Rahimi è stata quella di “tranquillizzare” la popolazione, poiché l’ordine pubblico nella capitale era garantito dai propri agenti che vigilavano affinché dalla protesta non scaturissero tumulti contro le autorità. Sempre nelle interviste raccolte dalla tv qatarina alcuni manifestanti sottolineavano la necessità di protestare contro un governo che chiude gli occhi di fronte alla crescente morte violenta di cittadini nell’intero Paese. Responsabilità dei miliziani neri e dei bombardamenti statunitensi che sostengono di scovarli e combatterli. L’episodio più clamoroso è stato il deliberato attacco all’ospedale di Medici senza Frontiere nella città di Kunduz che aveva seminato morte solo fra ricoverati e personale medico.