L’orto degli ulivi e la sofferenza della guerra

E’ un po’ cosi’ che, approfittando del periodo pasquale, si potrebbe definire una parte della regione di Rojava; se ci si sposta verso ovest puntando ad attraversare il grande fiume, l’Eufrate, l’aperta campagna piatta comincia a muoversi, a rappresentare meno un piatto e lontano orizzonte che qui lascia spazio alle colline mentre le immense coltivazioni di grano lasciano spazio a quelle dell’ulivo.
Ma orto degli ulivi anche per la sofferenza di cui queste terre soffrono ormai quasi da un decennio. Sara’ forse blasfemo, ma non credo che quel povero Cristo abbia sofferto di piu’ rispetto alla gente che queste terre abita.
La guerra ha rallentato i suoi ritmi ma il ballo continua, imperterrito. Se gli scontri si sono fatti meno duri e violenti, forse non e’ perche’ ci siano ora altre priorita’ o emergenze come il virus che ad oggi qui ha colpito con mano leggera, ma che tutti stanno aspettando si manifesti con il suo terribile potenziale. Probabilmente valgono maggiormente accordi detti ma non scritti , quelli che le potenze che qui si combattono attraverso i reciproci alleati, hanno in qualche modo e temporaneamente stabilito tra loro. E’ gia’ da un po’ ad esempio che le pattuglie Usa e russe non bisticciano tra di loro per rivendicare e marcare, come succede tra molti animali, il loro territorio di influenza. Memorabile la scenetta girata amatorialmente qualche tempo fa di un mezzo corazzato russo che cercava di superarne uno usa che invece lo buttava fuori strada. Litigi tra bulli di quartiere che pero’ possono finire male.
Ora le pattuglie girano piuttosto tranquille evitando di urtarsi reciprocamente. Anche quelle russo-turche hanno ripreso la loro attivita’ sia in terra che dall’alto dei loro elicotteri. Persino la sacca di Idlib, ultimamente teatro degli scontri piu’ sanguinosi, ha notevolmente ridotto il movimento, e di conseguenza gli scontri, delle varie truppe. Non illudiamoci pero’, questi sono solo i momenti in cui le varie fazioni si rilassano per riposizionarsi e rifornirsi. Significa solo che quando la guerra riprendera’ (in realta’ non si e’ mai fermata, scontri “minori” continuano), sara’ ancora piu’ terribile.
Quatto quatto zitto zitto, anche l’Isis ha ripreso fiato e nel sud est del paese quasi quotidianamente riesce a portare a termine qualche colpo. Sempre li’ nella zona del petrolio controllata dalle truppe usa. O nella zona di Al Tanf, anche quella sotto il controllo di usa e “ribelli” che giocano sulla pelle dei poveracci ancora rinchiusi in un campo profughi (Rukban) da cui non possono (alcuni non vogliono) uscire e tornare in quell che resta delle loro case. Colpa del governo secondo l’occidente; ovvio.
Ma appunto, se si combatte con le armi a ranghi ridotti, un nuovo pericolo si sta pericolosamente avvicinando, come si diceva. I preparativi per poter affrontare la probabile emergenza si fanno sempre piu’ stretti e le idee, per quanto limitate, si stanno confrontando. Le autorita’ locali cercano i mezzi e i soggetti che possono consorziarsi e mettere assieme tutte le risorse disponibili.
Tutto cio’ dovrebbe essere coordinato soprattutto dalle agenzie delle nazioni unite e specifiche per questo tipo di emergenza. Problemi di carattere burocratico e spesso di mancanza di organizzazione (magari anche di capacita’) dei loro rappresentanti, fanno si’ che ognuno si rimbocchi le maniche per quello che gli compete e cerchi di dare una risposta coordinata con chi puo’, per combattere il virus.
La Self Administration, il governo locale del Nord Est della Siria, si sta sbracciando per trovare soldi, risorse umane e partner per affrontare la crisi che pare inevitabile. Ma i problemi da sormontare sono molti. A partire dalle possibilita’ di avere un quadro un minimo preciso della diffusione reale della malattia. Qui, sempre ammesso che un tampone si trovi, lo si deve spedire a Damasco, unica sede in cui le analisi sul campione possono essere fatte. Almeno quattro giorni di tempo per avere una risposta.
Le Ong che operano in zona si stanno coordinando con l’Amministrazione, con la Mezzaluna Rossa Kurda (KRC) e con gli altri attori operanti nel settore sanitario e qualcosa (molto se considerate la realta’ locale) si sta organizzando. I problemi pero’ stanno anche nell’identificare i luoghi piu’ adatti a mettere in piedi alcune decine di posti letto attrezzati. A parte i soldi che in qualche modo pero’ si riescono a trovare, il problema sta anche nel reperire le attrezzature necessarie. Si fatica a trovarne un numero sufficiente per soddisfare le strutture immaginate nella pianificazione. Riuscire a rintracciare una quantita’ di ventilatori in grado di coprire i posti letto che si intendono creare e’ un problema grosso che ancora non si sa come risolvere. I prezzi di tutto, sia degli apparecchi elettromedicali (quelli dei ventilatori disponibili sono triplicati) che dei semplici materiali medici sono schizzati alle stele; anche qui mascherine e disinfettanti si comprano a prezzi folli, quando si trovano. Spesso le stesse sanzioni nei confronti degli uni (il governo siriano) e gli altri (la Turchia) complicano la vita di chi deve procurare il necessario.
Le stesse Ong ora lavorano con il personale ridotto, parte del quale e’ rientrato nel Kurdistan iraqeno per ragioni di prevenzione e sicurezza e prima di rimanere intrappolato se il virus si dovesse diffondere piu’ capillarmente. Nonostante tutto si cerca di dare il massimo contributo possibile in mezzo alle mille difficolta’ di cui sopra.
Ancora nonostante tutto appare evidente che per quanto vile e meschino possa essere, c’e’ sempre qualcuno che non guarda troppo per il sottile e, seguendo il proprio DNA, riesce a speculare sulla pelle del prossimo. Tutto sommato sta scritto cosi’ nei comandamenti del profitto che governa il pianeta. Nessuna pieta’ e nessun pentimento. Funziona cosi’ anche, e soprattutto, nella nostra ipotetica Europa, dove l’egoismo non si lascia scalfire dallo stato di necessita’ emergenziale che richiederebbe ben altra solidarieta’. Per questo, una volta finito questo incubo e magari anche questa guerra, niente cambiera’. Se non probabilmente in peggio.

Docbrino dalla Siria