Faccia feroce dell’Italia su Regeni, ma poi partecipa con le aziende pubbliche alla mostra-mercato delle armi in svolgimento al Cairo

Domani, Mercoledì 5, il sindacato giornalisti (FNSI) assieme ai genitori di Giulio Regeni e alla loro legale Alessandra Ballerini, terrà una conferenza stampa per fare il punto circa l'avanzamento delle indagini sul sequestro, le torture e l'omicidio di Giulio Regeni. Insieme con loro il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. Si discuterà in particolare dello scontro giudiziario fra Italia-Egitto. Come è noto gli inquirenti del Cairo respingono la decisione dei colleghi di Roma di iscrivere nel registro degli indagati alcuni agenti dei servizi egiziani, ma non solo chiedono ai pm italiani di indagare sul perché Regeni avesse un visto turistico invece che studentesco facendo così tornare fuori ombre sinistre sul ruolo del giovane ricercatore friulano. Così il governo egiziano ha ancora una volta negato l'ipotesi che i suoi servizi di sicurezza siano coinvolti nell'omicidio del dottorando italiano dell'università di Cambridge, avvenuto oltre due anni fa. "Al di là delle indiscrezioni di stampa la Procura resta ferma a quanto riportato nel comunicato congiunto del 28 novembre scorso. Nei prossimi giorni verrà formalizzata l'iscrizione nel registro degli indagati di alcuni nomi identificati nell'attività di indagine svolta da Ros e Sco nei mesi scorsi". È quanto si legge in una nota ufficiale della Procura di Roma in relazione all'indagine sul sequestro ed omicidio Regeni. Come è noto l’attenzione della Procura di Roma è rivolta su una decina di nomi coinvolti, in particolare appare imminente l’iscrizione sul registro degli indagati di almeno sette persone, tra loro alcuni 007 egiziani. Detto fatto e oggi si è avuta notizia dell'iscrizione di 5 egiziani nel registro degli indagati.   Ma il focus giudiziario sembra anche su alcuni vertici delle forze dell’ordine egiziane. Si tratta di soggetti che avrebbero di fatto messo “sotto controllo” Regeni, a partire dal dicembre del 2015, con una serie di attività culminate con la registrazione video di un colloquio tra il sindacalista Mohamed Abdallah e il ricercatore avvenuta il 7 gennaio di quasi tre anni fa. Dalle carte delle indagini emergono i profili di funzionari dei servizi e della polizia investigativa de Cairo. Da quello che è emerso, dopo la denuncia di Abdallah, sindacalista dei venditori ambulanti che era stato avvicinato da Giulio, i contatti sono stati gestiti dal colonnello Ather Kamal che porterà Abdallah negli uffici della National Security. Dalle indagini, in questo ambito, spuntano i nomi del maggiore Magdi Sharif e del suo superiore, il colonnello Usham Helmy fino ad arrivare al generale Sabir Tareq. Secondo quanto accertato l’apparecchiatura per la video sorveglianza era stata fornita a Abdallah dai servizi che alcune settimane prima, tramite un loro agente, Mhamoud Najem, avevano cercato di ottenere la copia del passaporto di Regeni tramite un suo coinquilino e il portiere dello stabile in cui abitava al Cairo.
Questa la ricostruzione del periodo immediatamente precedente al rapimento e successivo omicidio di Giulio. Ma se da un lato la svolta della Procura di Roma infastidisce le autorità egiziane , difficilmente avrà effetti reali perchè è da escludere che le mani della giustizia italiana potranno mai essere messe su quei personaggi. Anche l'iniziativa del presidente della Camera, Roberto Fico, di sospendere ogni tipo di relazione diplomatica con il Parlamento egiziano pur essendo un segnale politico non va oltre l'atto simbolico anche perchè se da un lato l'Italia mostra la faccia “feroce” dall'altra continua a fare affari con il paese delle piramidi e non solo nel settore dell'energia. Ma nche in quello degli armamenti, è infatti in svolgimento in questi giorni (dal 3 al 5 dicembre) a Il Cairo l’esposizione internazionale della Difesa (Egypt Defence Expo). Si tratta della prima esposizione di difesa internazionale in Egitto, che copre le tecnologie di armi aeree, terrestri e marine. La mostra biennale nella volontà egiziane vuole diventare l'evento numero uno nella regione del Medio Oriente. Ed in effetti su oltre 350 aziende legate al settore degli armamenti a livello mondiale presenti alla mostra mercato vi sono dieci aziende italiane. Tra queste, ci saranno anche due aziende che hanno lo Stato Italiano come principale azionista, Leonardo e Fincantieri. Insomma l'ipocrisia regna sovrana, l'azione più “dolorosa” per gli egiziani sarebbe stata quella di ritirare le aziende (almeno quelle pubbliche) da questa esposizione che è fortemente patrocinata dal presidente egiziano, al-Sisi, e dalle forze armate, dal ministero della Difesa e dal ministero per la Produzione Militare dell’Egitto. Insomma mentre il presidente della Camera ed esponente del Movimento 5 Stelle, Roberto Fico, decide di interrompere i rapporti con l’assemblea egiziana fino a quando non si arriverà a una verità sulla scomparsa di Giulio Regeni e con i pentastellati che hanno sempre criticato l’export di armi verso Il Cairo a causa delle costanti violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, Leonardo e Fincantieri parteciperanno a un evento patrocinato proprio dal governo de Il Cairo. Inoltre, la Mdba che produce missili e tecnologie di difesa, al 25% di proprietà di Leonardo, è Gold Sponsor dell’evento. Insomma la faccia feroce dell'Italia è come un Giano bifonte, quando è da fare affari non c'è Regeni che tenga. Del resto i dati mostrano un incremento di esportazioni di armi verso Egitto e soprattutto Arabia Saudita sotto il governo Conte, commesse contro le quali il Movimento 5 Stelle si è battuto durante i governi Renzi e Gentiloni perché venissero bloccate, la partecipazione di aziende italiane a un evento così importante sotto il patrocinio del governo e dell’esercito egiziano segna un secondo cambio di rotta in tema di export di armamenti.
Ora non solo si partecipa alla “mostra-mercato” di al Sisi ma si fa “spallucce” in nome degli interessi economici anche sulla mega commessa per l’esportazione di 20mila bombe dall’Italia verso Riyad che come è noto le “gira” ai propri alleati che non le tengono in magazzini ma le usano anche su donne e bambini in Yemen. Eppure non più di due mesi fa il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, colta da dubbi, aveva chiesto al suo collega agli Esteri Moavero Milanesi, ma non ufficialmente bensì in un post pubblicato su Facebook, di verificare che l’export di armamenti verso l’Arabia Saudita rispetti la legge 185/90 che disciplina la vendita di armi e che prevede, tra le altre cose, il divieto di vendere armi ai Paesi coinvolti in un conflitto armato, così da fare chiarezza sull’uso delle bombe italiane nella guerra civile in Yemen. La denuncia dell'uso delle bombe made in Italy è stat fatta da organizzazione internazionali e secondo dati di agosto scorso, oltre 10mila vittime sulle 17mila totali sarebbero morte a causa dei bombardamenti della coalizione con a guida Riyad. Ma ovviamente la sollecitazione via social aveva subito provocato una risposta non da parte del ministro ma dal sottosegretario agli esteri leghista, Guglielmo Picchi che ha rassicurato che “il processo autorizzativo italiano per l’export di materiali di difesa con l’Arabia Saudita è rigoroso e coinvolge pienamente il ministero della Difesa. Se cambia l’indirizzo politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale”. Dopo quello scambio “social” dalla Difesa, secondo quanto diffuso da “Il fatto quotidiano”, sarebbero partite più richieste formali di chiarimento verso la Farnesina, ma “nessuna risposta formale è ancora arrivata” se non voci secondo cui una risposta informale sarebbe stata data all’ufficio della Trenta, facendo capire come la politica adottata dagli Esteri sulle armi sia identica a quella tenuta dal precedente governo Gentiloni, insomma si viaggia in “continuità”. Insomma un'altra “piccola” contraddizione in seno al governo “giallo-verde” dato che la politica sugli armamenti del passato era criticata dai Cinque Stelle all’epoca all’opposizione a Gentiloni. Ma oggi con buona pace di Giulio Regeni e della coerenza verso gli elettori, si farà spallucce per difendere le “cadreghe” di Di Mao & company. Le donne e i bambini dello Yemen sono avvertiti.