Libia, l’Isis attacca prigione a Tripoli. Intanto si complica la ratifica dell’accordo di pace fra Fajr Libia e il governo di Tobruk

I jihadisti dello Stato Islamico hanno attaccato l’aeroporto di Tripoli con un blitz che porta alla periferia della capitale la sfida alle milizie islamiche di “Fajr Libia”. Sono stati gli stessi miliziani di Isis a rivendicarlo mentre il portavoce delle forze della sicurezza a Tripoli ha dichiarato che “le guardie della prigione di Mitiga e hanno respinto il tentativo di assalto condotto da elementi armati sconosciuti”. Di diverso tono la la nota Isis che spiegava attraverso i soliti canali internet che lo Stato islamico ha “attaccato un’area dell’aeroporto di Mitiga a Tripoli adibita a prigione”. Nello stesso testo si dice che i miliziani si sono “scontrati con le guardie della prigione” riferendo o che “un gruppo di mujaheddin dei cavalieri martiri hanno assaltato la prigione per liberare i musulmani detenuti e sottoposti a tortura”. Secondo fonti libiche la prigione, gestita dal ministero dell’Interno di Tripoli, è invece controllata dalle milizie di Fajr Libya. Secondo fonti sanitarie si parla di sei morti, tre jihadisti e altrettante guardie. Il bilancio al momento non è stato confermato da fonti ufficiali. Di certo si sa che l'attacco dei miliziani di Isis è avvenuto a bordo di pick-up muniti di mitragliatrici e cannoncini, ma anche con granate e forse cinture esplosive. Hanno dato l’assalto alla prigione che si trova nella base aerea di Mitiga senza riuscire a penetrarvi. Ma in realtà il problema più serio in queste ore non è dato dalle attività Isis ma dai forti contrasti all'interno delle forze che controllano Tripoli. Sono giunte notizie frammentarie e contrastanti, diffuse su vari media libici, di un attacco in armi condotto giovedì sera al Congresso di Tripoli per obbligare il Parlamento a non approvare l’accordo firmato in via preliminare in Marocco sotto l’egida dell’Onu. Su questo episodio vi è scarsa chiarezza, di certo, fosse vero, rischierebbe di bloccare il faticosissimo processo di pace fra tribù e fazioni varie anche in funzione anti Isis. A capo dei “rivoltosi” vi sarebbe il deputato Abdel Raouf el Manaei, che boicotta il dialogo e ha chiesto che l’accordo sia sottoposto a referendum. Per altri deputati favorebivoli all'intesa con il governo di Tobruk, invece non si sarebbe trattato di un assalto ma di un gruppo politico che era venuto pacificamente a chiedere chiarimenti sull’intesa.
Intanto un un appello alla comunità internazionale arriva dall’ambasciatore di Libia presso la Santa Sede, Mustafa Rugibani, nome che dovremo con molta probabilità imparare a conoscere perchè potrebbe diventare il primo leader di una Libia riunificata, o comunque questa sarebbe la sua intenzione. “Bisogna arrivare ad un accordo subito il popolo libico è troppo stanco” dice il diplomatico libico. La cittadinanza aggiunge “non ha servizi essenziali, manca la luce, la scuola non può ricominciare perché mancano i soldi”. Il diplomatico,  come accennato,  con ogni probabilità sarà candidato a primo ministro alle prossime elezioni in Libia che doverebbero seguire la pacificazione come previsto dal negoziato al quale sta lavorando l’inviato dell’Onu Bernardino Leon. Come è noto l'intesa ha l’obiettivo di mettere d’accordo il governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, il cui mandato scade il 20 ottobre e il Congresso nazionale generale di Tripoli per poi andare alle elezioni. “Bisogna restituire tranquillità al popolo libico allontanando e condannando i criminali - continua l’ambasciatore Rugibani nella sua nota e mettere insieme le varie minoranze religiose”. Rugibani, rifugiato all'estero per quasi 30 anni (dal 1979 al 2006) durante il regime di Gheddafi, ha fatto parte del Consiglio nazionale di transizione nel 2011 durante la primavera araba, poi è stato ministro del Lavoro. Riferendosi all’avanzata dell’Isis e al controllo che il Califfato sta esercitando sulle due città libiche di Sirte e Derna, il candidato premier chiede aiuto alla comunità internazionale: “Noi possiamo combattere sul territorio perché i nostri militari conoscono bene il Paese, ma devono essere messi in condizione di difendersi. Le Nazioni unite devono togliere l’embargo sulle armi, devono armarci contro l’Isis e sostenerci con un supporto aereo perché i confini sono troppo vasti. La nostra divisione interna è politica e non ideologica, tutti insieme combatteremo l’Isis così come abbiamo combattuto contro Gheddafi”. É evidente che la posizione di Mustafa Rugibani soprattutto sulla questione del califfato che avanza è apprezzata negli ambienti occidentali anche militari, offre infatti quella sponda, quelle truppe di terra senza le quali ogni azione contro l'Isis, ma anche contro trafficanti di uomini e scafisti, sarebbe poco efficace. Che la libia sia centrale anche per Abu Bakr al-Baghdadi lo dimostra anche quanto scritto nell’ultimo numero di “Dabiq”, un magazine in lingua inglese emanazione dello Stato Islamico. Abul Mughirah al Qahtani, capo delle operazioni di Isis in Libia, spiega che i suoi uomini sono in guerra con i maggiori gruppi islamici locali ovvero contro “Ansar al Sharia” legata ad “Al Qaeda nel Maghreb”, contro le “Brigate Martiri Abu Salim” di Derna, il Gruppo combattente islamico (LIFG) composto di veterani dell’Afghanistan, e soprattutto contro “Fajr Libia” che controlla Tripoli. Anche in Siria e Iraq il primo obiettivo tattico di Isis è stato combattere gli altri gruppi islamici, al fine di assumere il controllo dell’intera area jihadista. In Siria l'operazione all'Isis è praticamente riuscita per l'incapacità occidentale di capire cosa stesse succedendo e accecati dall'idea che Assad era il nemico principale da abbattere. In Libia si sarebbe ancora in tempo, ma l'azione dovrebbe essere politicamente e militarmente molto rapida. La vera debolezza occidentale è invece proprio nella scarsa capacità di reazione impastoiata com'è la diplomazia in mille trattative e nell'intervento di mille veti. Isis invece, decide e opera.