L’Europa nella palude della nuova crisi fra Usa-Russia

Ci sono tre notizie apparentemente lontane fra loro che invece se lette all'interno dei delicati scenari internazionali sono estremamente inquietanti. La prima è che gli ambasciatori dell’Unione europea avrebbero raggiunto un’intesa per prorogare fino a gennaio del 2016 le sanzioni imposte alla Russia per la crisi in Ucraina che scadevano a luglio. Questo ovviamente farà ulteriormente salire la pressione al presidente Russo. La seconda notizia è che proprio Vladimir Putin e il premier greco Alexis Tsipras discuteranno venerdì 19 giugno della costruzione del gasdotto Turkish stream a margine del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, una soluzione economicamente rilevante nei rapporti fra Atene e Mosca, con conseguenziali influenze nei rapporti di "amicizia". La terza notizia è che la Lituania ha deciso di reintrodurre temporaneamente il servizio di leva obbligatorio per i giovani tra i 19 e i 26 anni, dopo che lo aveva abbandonato nel 2008, e di raddoppiare per il prossimo anno le spese militari, ma non solo, Vilnius si è dichiarata pronta a ospitare subito mezzi e uomini che Washington e la Nato potrebbero inviare a breve in diversi Paesi dell’Est Europa.
Le tre questioni se analizzate singolarmente sembrano dire poco, ma se inquadrate in una logica di “scacchiere” diventano campanelli d'allarme estremamente inquietanti. Anche quello che riguarda la Grecia è in realtà molto destabilizzante se letto alla luce del rapporto annuale sulla politica monetaria scritto dalla Banca centrale greca che avverte che un mancato accordo con i creditori segnerà l’inizio di un “percorso doloroso” che porterà prima al default e, di conseguenza, all’uscita della Grecia dall’eurozona e “probabilmente” dalla stessa Unione europea e poi chissà anche dalla Nato come del resto recitava il programma elettorale  di Syriza: "Chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato", si leggeva.  Ed allora cosa di meglio per la Grecia di trovare da subito sponde economiche a est? Non è detto insomma che si tratti solo di una forma di intimidazione come probabilmente era settimane fa,  ma di un piano B che Tzipras, giustamente dal suo punto di vista, cerca di mettere in campo per evitare lo strangolamento del suo Paese. Una forma di legittima difesa nei confronti della rigidità finanziaria della  Ue che diventa intimidazione se letta in chiave di rapporti fra Nato e Russia. Del resto che la situazione di tensione fra Usa, Europa e Russia sia ormai ai massimi livelli, lo si è capito martedì scorso con l'annuncio di Vladimir Putin del dispiegamento di 40 nuovi missili balistici intercontinentali capaci di “resistere ai sistemi di difesa antiaerei più sofisticati”. Nel linguaggio della guerra nucleare che speravamo di aver lasciato alle pagine dei libri di storia, l’aggettivo “intercontinentale” significa capace di colpire un avversario lontano, lontanissimo, in un altro continente, in questo caso gli Stati Uniti. Putin in sostanza ha deciso di rafforzare l’esercito russo puntando direttamente il mirino sugli americani, annunciando non un rafforzamento generico delle proprie armi, ma con l'attenzione al tipo di arma di lunghissima gittata. In realtà Putin ha deciso di raddoppiare il budget di spesa militare facendo lavorare a pieno ritmo la sua industria che  mostra sempre più spesso i propri  gioielli nelle fiere specializzate. Quella dei missili intercontinentali  in sostanza vuol essere un mostrare i muscoli, ma nello stesso tempo, rassicurando i “vicini” di non aver intenzioni bellicose. Il confronto è dunque tra Cremlino e Casa Bianca, come ai tempi della Guerra fredda. Del resto in un'intervista rilasciata al Corriere della sera il 10 giugno scorso, Putin affermava che “solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato. Sostenere quest’idea non ha senso, è del tutto infondata”.
Il presidente russo insomma da un lato minaccia direttamente gli Usa e dall'altra si dà da fare per tranquillizzare l’Occidente europeo, spiegando che per lui, in sostanza,  la crisi ucraina è una questione regionale, con una dinamica propria. Putin  rassicura che nessuno a Mosca ha intenzione di invadere i Paese Baltici. Del resto a ben vedere la situazione che si sta consolidando non è dissimile da quella che esisteva ai tempi della “guerra fredda”, certo rispetto ad allora i Paesi baltici hanno cambiato alleanza, ma le contraddizioni interne sono rimaste anche se rovesciate. Quando quei paesi orbitavano intorno all’Urss erano i russofoni a essere considerati privilegiati, ora che l'orbita è “Nato”,  sono i russofoni a sentirsi, e forse ad essere, discriminati. Il quadro non è molto diverso da quello di Kiev, dove le differenze di lingua, storia, cultura e religione tra russi e ucraini sono sempre state strumentalizzate, oggi a favore di una parte, domani dall'altra. Ma la differenza fondamentale per la quale, contrariamente all'Ucraina partendo dalla Crimea, in realtà Estonia, Lettonia e Lituania non devono preoccuparsi di una futura invasione russa, è che Mosca può fare strategicamente e   tranquillamente a meno di loro e che quindi non valgono certo uno scontro diretto con la Nato che, bisogna considerarlo non sono solo gli Usa.
Ma le rassicurazioni non bastano evidentemente ai paesi baltici che sono ben consci che la storia spesso può ripresentarsi con un conto salato da pagare. Bisogna infatti dire, per onore di verità, che all'epoca del disfacimento dell'impero sovietico gli Usa si erano, anche se solo informalmente, impegnati a non allargare la Nato verso la frontiera russa. Promessa però non mantenuta quando i paesi usciti dall’orbita sovietica invocarono la loro sovranità e autodeterminazione. In quella fase agli americani non parve vero, confidando nel fatto che la Russia aveva "gatte da pelare" in casa propria per occuparsi più di tanto delle ex “colonie”, di accogliere la "volontà popolare" di quei Paesi che chiedevano di beneficiare della protezione americana davanti a una Russia di cui temevano un futuro spirito vendicativo. Ora forse questo spirito vendicativo rischia di palesarsi, almeno come minaccia. Così mentre Mosca ha ripreso forza e volontà di evitare un nuovo allargamento della Nato e anzi a spinge a rimettere le mani sull’Ucraina e la Georgia, la situazione rischia di sfuggire di mano. È un giochetto molto pericoloso che alimenta incertezza sulla coesione degli equilibri internazionali in un momento nel quale invece le crisi mediorientali, dalla questione Isis, al nucleare iraniano, al dramma siriano e all’avanzata dello Stato islamico in nord Africa, imporrebbero un riavvicinamento tra russi e americani, indispensabile per trovare una soluzione comune a quelle crisi.

Fabio Folisi