LENTA AGONIA DEL COMUNISMO, NAZIONALISMO ANCHE A PECHINO

Lenta, ma inarrestabile agonia del comunismo nella Repubblica Popolare cinese e, insieme, progressiva e inesorabile deriva verso il nazionalismo. E dire che nel 1949 Mao Zedong, il Grande Timoniere, sconfisse i nazionalisti di Ciang Kai-scek ricacciandoli nell'isola di Formosa (Taiwan) fondando appunto la Cina comunista.

La prova si è avuta proprio in questi giorni col fatto che Pechino non intende riconoscere la sentenza del Tribunale dell'Aia che le nega (attribuendola a Manila, alleata degli Usa), la sovranità sulle isole Spartly, al largo delle Filippine.
I cinesi continueranno quindi a rivendicare tutti gli arcipelaghi del Mare Cinese meridionale, perlustrando le isole con le loro navi e a costruirvi aeroporti. La prima considerazione è che sono ricche di petrolio, ma perché proprio adesso Pechino è molto più bellicosa in confronto alle varie dispute con Giappone, Malaysia, e appunto Filippine?
La ragione sta nella morte del comunismo. Lo Stato si chiama ancora Repubblica Popolare, è sempre governato da un Pc, stampa monete col volto di Mao. Ma già da molti anni ha smesso di giustificare la dittatura del partito unico con i classici argomenti degli eredi di Marx ed Engels.
La svolta ci fu infatti già nel gennaio 1992 quando, nei pressi di Hong Kong, l'allora leader Deng Xiaoping adottò il motto, di derivazione francese, “arricchitevi”.
Ma far soldi adesso è più difficile data la crisi economico-finanziaria globale e in Cina è modesta la crescita del Pil, ben al di sotto dell'abituale 10% e oltre, vi sono rivendicazioni sindacali, masse di agricoltori sono in rivolta contro l'esproprio delle terre coltivabili. E infine regna la corruzione, a tutti i livelli.
Ma le 'purghe' del nuovo Presidente, Xi Jinping, non bastano. In questa situazione diventano basilari anche le isole contese e il nazionalismo, mai del tutto scomparso negli anni passati, è diventato il surrogato del comunismo, l'unico collante in grado di tenere insieme l'immenso Paese.
Difficolmente la Cina cercherà uno scontro per le isole Spratly con gli Usa o il Giappone. Ma il pericolo esiste, anche perché Tokyo sta archiviando la sua decennale politica pacifista imposta da Washington.
A questo punto non resta che sperare che i cinesi ricomincino ad arricchirsi...

AUGUSTO DELL’ANGELO

Augusto.dell@alice.it