L’editoria ai tempi del coronavirus. Evidenziate tragicamente le criticità di un sistema che rischia grosso. Potrebbe venire meno l’abitudine all’acquisto mattutino del quotidiano

Il Giornalismo ha una grande responsabilità soprattutto in questi momenti di crisi, anche se i media e non solo del Fvg sembrano non accorgersene o peggio interpretano in massima parte il concetto di responsabilità come servilismo al potere, intendiamoci non alle istituzioni che in momenti di emergenza ci può stare come forma di collaborazione ma sempre vigile. Per questo, nei limiti del possibile, FriuliSera con le sue sempre risicate forze che non consentono di fare quanto si vorrebbe, sta cercando di informare nel miglior modo possibile sulle questioni che non trovano cittadinanza nella blasonata stampa locale, sia essa stampata che televisiva, mentre anche la maggior parte dei giornali web, con alcune eccezioni ovviamente, tende a rincorrere la cronaca ad “effetto” senza praticamente approfondire nulla. Vale la pena fare alcune considerazioni. Nelle ultime settimane la situazione è sempre più complicata, serve una grossa azione di filtraggio delle notizie per evitare di divenire strumenti di propaganda o dispensatori di notizie presunte vere. Un filtraggio che ovviamente da parte nostra non è censura, ma volontà di verifica delle informazioni che mai è delicata come oggi, un periodo surreale dove notizie scientifiche vere sembrano false e fake news sembrano vere. Ma un dato è certo, fra quarantene e virus che impazza, arriva la conferma che il giornalismo nostrano ha perso ogni dignità e decoro infetto da un virus che viene da lontano, un contagio avvenuto probabilmente da troppa promiscuità con ambienti politici ed economico-finanziari. Un virus che ha fatto perdere la bussola sia dell'etica che della deontologia. Spieghiamo meglio, la parola Etica deriva dal greco “èthos” comportamento, modo di comportarsi. Si tratta di una branca della filosofia che in generale parla della scelta dell’uomo tra il bene e il male mentre la parola Deontologia deriva dal "Δeω" ( pronuncia deo) che significa "dovere”. Comportamento positivo e quale dovere hanno fatto sì che venissero praticamente nascoste, perchè scomode, notizie importanti come quella della protesta dei medici nei confronti dell'assessore alla salute del Fvg e della denuncia di gravissime anomalie nella gestione delle aziende sanitarie, tanto gravi, da mettere a repentaglio la salute degli operatori della sanità e conseguentemente quella pubblica. Non una parola efficace sulla stampa, nonostante la diffusione capillare della nota dei sindacati dei medici e le sollecitazioni che arrivavano copiose nelle redazioni dagli ambienti sanitari. Quegli stessi ambienti definiti dalla stampa e dagli sproloqui della politica fatti di “eroi” ma che evidentemente devono stare zitti secondo un allargamento generalizzato alla sanità del motto dei carabinieri “usi obbedir tacendo e tacendo morir”. Si dimentica però che la scelta più o meno libera dell'arma non è certo obbligo di chi il giuramento l'ha fatto ma di Ippocrate.
È inutile nascondere la testa sotto la sabbia e dare la colpa a un modello generalizzato di fare informazione che costringe a comportarsi cosi'. La verità, terribile ma innegabile, è che nel momento del bisogno, mentre il Paese trema sotto i colpi dell’infezione e ci si affanna per cercare una via di uscita, il giornalismo prima ha banchettato e gozzovigliato sul panico generando titoloni ad effetto, poi resosi conto dell'enormità di quanto stava avvenendo ha sterilizzato tutto dispensando overdose di dati, numeri e pietas a buon mercato. Ma perché si è arrivati a questo? Perché il sensazionalismo e il titolo boom spopolano da tempo nelle testate giornalistiche e televisive del nostro paese? La risposta è ben più semplice di quel che ci si possa aspettare: è tutta questione di soldi. Tristemente è proprio così. Nell’era del digitale i quotidiani, chi più chi meno, arrancano. E in questo momento di coronavirus anche ad edicole aperte, le vendite sono in picchiata. Anche i giornali d'abitudine, quelli il cui acquisto è rito mattutino legato al tran tran giornaliero e non scelta di qualità, quelli in cui la pagina dei necrologi è la più letta, stanno rischiando alle fondamenta. Il motivo è che quello che inizialmente sembrava un ben definito rallentamento dovuto alle difficoltà di mobilità delle persone si potrebbe consolidare anche in futuro. Potrebbe balenare nell'acquirente l'idea, a pandemia esaurita, che tutto sommato di quell'abitudine si può fare a meno, costa e le informazioni le trovi altrove, necrologi compresi. Insomma una presa di coscienza nei lettori che senza quell'informazione di riporto si può vivere tranquillamente e anche le notizie possono arrivare da altre fonti, meglio e prima. Perchè soprattutto quotidiani stanno facendo da mesi se non da anni il tragico errore che poteva durare per sempre l'idea che se una notizia, pur nota, non trova spazio nelle proprie pagine non è notizia. Impressione già falsa in passato, sostenuta solo dallo snobismo degli ambienti politici (sia di destra che di sinistra) ed economici (che pur leggendo le notizie sul web sostengono la carta stampata quotidiana che è diventata come la Gazzetta Ufficiale, ma che come questa è letta da un piccolo stuolo di burocrati che pendono dalle labbra di quelle colonne. Se aggiungiamo che le testate di carta hanno faticato ad adattarsi a nuovi modelli web, quelli che non seguono più i percorsi tradizionali dello sparare la notizia”prima degli altri” come se fosse una gara di velocità e non di idee, la frittata è fatta. La nuova frontiera del web invece è di chi offre non solo notizie da 120 caratteri o poco più, ma anche approfondimenti e fonti dirette linkate. Pur senza estinguersi completamente, i giornali quotidiani cartacei potrebbero restringersi in maniera irreversibile. Non c'è da gioire ovviamente, perchè ogni giornale che chiude, ogni licenziamento di giornalisti e poligrafici, chiusura di edicole, è sconfitta per la democrazia. Del resto il web, visto dagli editori come un nemico e non una opportunità, è stato sempre relegato in un limbo, un paria della comunicazione, che però non regolato ed adeguatamente valorizzato oggi rischia comunque di travolgere l'editoria nella maniera peggiore, perchè nonostante la spasmodica ricerca di soluzioni fare soldi con l'informazione web se non sei una grande realtà come Google o Facebook è difficile. Il problema è semplice: ai giornali si chiede non solo di essere online se vogliono sopravvivere, ma di fare informazione gratuitamente. I giornali hanno tardivamente capito una lezione fondamentale: se vogliono sopravvivere non possono rendere l’accesso online completamente a pagamento. Così ogni giornale adotta la sua ricetta, il cosiddetto paywall, quello che dà accesso limitato all’utente ad una selezione di articoli ed editoriali, per poi chiedere un pagamento per continuare la lettura o consente un certo numero di articoli gratuiti nella speranza che ciò fidelizzi il lettore anziché farlo incazzare. Il problema è che non si è affrontato il vero problema, la qualità di quanto diffondi. Se nonostante risorse superiori a quelle di altri non offri qualità ed approfondimenti , non si capisce perchè un lettore doverebbe pagare quello che da altre fonti trova gratis. Certo c'è anche la raccolta pubblicitaria “spicciola” e ci sono quelli che per non perdere indicizzazioni nei motori di ricerca consentono l'accesso ma solo attraverso la cosiddetta “navigazione in incognito” che i vari browser consentono, ma in realtà è solo un pannicello caldo che dimostra che stai cercando di essere carne e pesce nello stesso tempo. Poi abbiamo il “Native advertising”, che riguarda il non dividere la pubblicità dal contenuto in maniera netta. Questo rende al lettore più difficile distinguere dove finisce l’articolo e comincia l’annuncio pubblicitario e al di là delle implicazioni deontologiche, abusarne rischia di stancare il lettore che appena percepisce di essere “usato” giudica la testata non più autorevole. Del resto al momento, la maggior fonte di reddito per un giornale è proprio la pubblicità: quindi banalmente maggiore è il numero di click (persone che aprono l’articolo) maggiore è il guadagno, almeno in teoria, dato che i sistemi di controllo delle statistiche sono in regolati da chi dovrebbe poi pagare e quindi non pare sistema né onesto, né trasparente, come del resto era in passato per i meccanismi di audience della radio e delle Tv. C'è poi il fatto che il proliferare di banner e pop-up che si aprono ed invadono lo schermo rende i prodotti giornalistici online di complessa e fastidiosa lettura. Così si pone il lettore davanti al dilemma se aprire il portafoglio o piegarsi alla lettura stop and go. Fatte tutte queste premesse e considerando che non corrono tempi benevoli per la stampa e la professione giornalistica in generale, l'unica soluzione sarebbe quella che lo Stato valutasse se l'informazione è da tutelare, lasciarla al mercato è infatti la maniera migliore perchè non sopravvivano editori puri e invece, magari solo galleggiando foraggiati, restino in piedi solo gruppi editoriali dalle proprietà portatrici di interessi. Insomma l'idea di un sostegno al settore non è sbagliata, ma poi pensando a come verrebbe realizzata, con i paletti messi dalla sempre scintillante burocrazia nazionale, c'è da pensare che nulla arriverà davvero a chi lo merita. Non resta che resistere confidando in chi senza secondi fini decide di sostenere il proprio giornale. Saremo degli inguaribili ingenui, ma l'idea che ormai da anni cerchiamo di realizzare, una sorta di public company, di sostegno diffuso, potrebbe essere una soluzione. Fino ad oggi non lo è stato se non in maniera residuale, speriamo che in futuro in tanti si rendano conto che lasciare l'informazione in mano di pochi è rischioso per la libertà di tutti, anche per quella di chi detesta quello che scriviamo. Teniamo duro ma non vorremmo prima o poi gettare la spugna.

Fabio Folisi