Le radiose giornate di maggio

Visinale dello Judro, Corno di Rosazzo; nella notte tra il 23 e il 24 maggio, alle 23.30 fu sparato il primo colpo di fucile. Colpo che è considerato come l'inizio sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale. A sparare furono due finanzieri: Pietro Dell´Acqua e Costantino Carta

Visinale dello Judro, Corno di Rosazzo; nella notte tra il 23 e il 24 maggio, alle 23.30 fu sparato il primo colpo di fucile. Colpo che è considerato come l'inizio sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale. A sparare furono due finanzieri: Pietro Dell´Acqua e Costantino Carta

"Si viveva in un clima eroico - testimonia Giuseppe Del Bianco, nel suo “Il Friuli e la guerra” - che oggi, a distanza di tanti anni, non si può capire: scene di entusiasmo patriottico si rinnovavano ad ogni momento e vi partecipavano cittadini e soldati in commossa, ineffabile comunione di sentimenti; e vedevi giovanette abbracciare i soldati in cui si imbattevano scendendo dal treno; e giovani strappare di mano agli armati il fucile e accarezzarlo come si fa con un oggetto vivamente desiderato, e vecchi vedevi, e donne curvarsi a baciare il suolo della Patria, non appena scesi dai lunghi convogli che giungevano a tutte le ore." a1915z
E ancora: "La notte sul 24 maggio Udine fu tutto un tripudio di cortei e di canti, e l'entusiasmo della moltitudine raccoltasi in piazza Vittorio Emanuele [oggi Piazza Libertà] nell'attesa che l'ora segnata scoccasse, s'accese ed esplose in più alte, più entusiastiche acclamazioni."
Non tutti i friulani reagirono tuttavia come gli Udinesi. In molti paesi di campagna il pianto delle donne, che presagivano il triste destino di figli, fratelli e mariti, si trasformò in un coro disperato. Come dire che le contadine del Friuli avevano visto più lontano degli interventisti. E già sappiamo come reagì don Lozer.
Le prime fucilate dell'immane conflitto si udirono alle 22.30 del 23 maggio fra Visinale e San Rocco, nei pressi di Brazzano. Due guardie di finanza videro delle ombre che probabilmente volevano far saltare il ponte sul Iudrio e, a colpi di fucile, riuscirono a sventare la minaccia.
Poco dopo la mezzanotte le truppe italiane poterono proseguire senza incontrare alcuna resistenza, e sulla pendice del Kolovrat, a Kapele Sleme, morì Riccardo Di Giusto, il primo caduto italiano.
Ecco come racconta la sua morte Chino Ermacora nel volume “Piccola Patria” del 1928: “Era scoppiata la guerra, ma nessuno di noi lo sapeva. Raggiungiamo la sommità della spartiacque: il confine.
A un tratto ci pare di udire due colpi. Chi è stato?
La domanda vola da uno all'altro senza trovare risposta. Ma la risposta l'abbiamo poco dopo, passando vicino alla cappella Schlieme: sul ciglio del sentiero, riverso sull'erba, geme un soldato austriaco. È un adolescente. Invoca la madre lontana: "Meine Mutter! Meine Mutter!".
Altri colpi, più fitti stavolta. È caduto uno dei nostri. Lo scogo infatti, tra due compagni curvi, supino nell'erba. È il soldato Riccardo Di Giusto da Udine, - 16° Compagnia, classe '95 – il compagno biondo e taciturno, il primo caduto nella grande guerra.

Riccardo Di Giusto

Riccardo Di Giusto

Mi chino su di lui un istante. Alla luce crepuscolare scorgo un forellino nella sua fronte, sotto i capelli. Un filo di sangue gli s'arresta in un'orbita …
Sfioro il volto con la mano: è tiepido ancòra ...”.

I primi reparti giunsero presto a Cormôns, e i paesi vicini furono occupati senza combattimenti. Ma a Romans d'Isonzo, abbandonata dagli austriaci, gli Italiani arrivarono appena alle ore 16 del 25 maggio. Farra e Gradisca furono raggiunte il 26, e dai due centri, troppo vicini alle artiglierie nemiche situate sulle alture oltre l'Isonzo, iniziò l'esodo dei civili verso Udine.
Il 24 maggio non ci fu, quindi, un forsennato balzo in avanti per passare di slancio l'Isonzo e occupare Gorizia ancora sguarnita, ma una avanzata lenta, troppo guardinga, durante la quale l'esercito fu soprattutto preoccupato di stanare "austriacanti" e spie fra la popolazione civile.
Tristemente noto fu l'episodio di Villesse, dove, il 29 maggio, "per un gravissimo errore psicologico del comandante del primo reparto che occupò il paese", scrive Giuseppe Del Bianco, vennero fucilati il segretario comunale Giulio Portelli e altre cinque persone. Poi altri 150 abitanti, sospettati di connivenza con il nemico, furono internati a Palmanova, perché l'ufficiale italiano era rimasto impressionato dalla lingua incomprensibile di quel villaggio: il friulano!
La suprema autorità militare restituì poi la popolazione alle sue case e riconobbe alle vittime lo status di caduti in guerra. Ma altri episodi simili accaddero in Carnia e altrove. E ci furono numerosi confinati, (non si sa quanti, perché le “confinazioni” erano decise in segreto dai militari) soprattutto fra il clero di campagna.
Leggendo le cronache di quei primi giorni di guerra si ha la sensazione di una tranquilla passeggiata di maggio, ma il 25 e il 26 i mortai austriaci scaricarono ferro e fuoco su Timau. Moggio accolse allora i profughi della Val Aupa, e Pontebba, sul confine, si stava rassegnando alla completa distruzione.
L'esercito italiano non avanzò su Gorizia, quasi sguarnita, e gli austriaci la munirono precipitosamente, trasformandola in un formidabile campo trincerato. Incominciò allora il martirio della Città, che fu "santa" per gli interventisti, "maledetta" per i fanti delle trincee.
Ai primi di giugno l'esercito attaccante riuscì a compiere notevoli progressi territoriali sulla sinistra dell'Isonzo, occupando Redipuglia il giorno 6, Monfalcone il 9. E dal Carso iniziò il bombardamento dell'abitato.
L'Italia entrò nell'immane conflitto convinta di andare alla quarta guerra di indipendenza, cioè di portare a termine a nord-est il grande disegno dello stato nazionale italiano. Doveva trattarsi, a giudizio dello stesso stato maggiore dell'esercito, di una guerra breve, con pochi inevitabili morti, e siccome fu iniziata a primavera, le truppe furono dotate soltanto di divise estive!