Le opportunità per un’Europa dei popoli

Siamo alla fine del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea. Un semestre che secondo le previsioni del nostro presidente del Consiglio avrebbe dovuto cambiare drasticamente l’Europa. «È una grande sfida per ritrovare l’anima dell’Unione europea, per ritrovare il senso profondo dello stare insieme». Questo l'annuncio trionfale fatto da Matteo Renzi il 2 luglio scorso nel suo discorso di insediamento a Strasburgo, nel momento in cui assumeva la presidenza dell’Unione. Passavano le settimane e Renzi proseguiva nei suoi proclami: «Noi abbiamo la responsabilità di guidare il cambiamento in Europa», ribadiva più volte. In realtà non è stato così, il suo smisurato ottimismo era più della speranza che della ragione così settimna dopo settimana ci si è resi conto che nulla o comunque poco nscava sotto il sole d'Europa. Ora Renzi cerca di rivendicare meriti non suoi come il piano di investimenti da 315 miliardi di euro che il neo presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha illustrato a Strasburgo alcune settimane fa. Per onestà intellettuale bisogna dire che negli ultimi giorni los tesso premeir italiano ha in parte cambiato rotta, arrendendosi probabilmnte all'evidenza e valutando che non era conveniente raccontare balle agli italiani, così si è strada una tiepida autocritica, mitigata però da una miriade di fatti giustificativi esterni. Comunque meglio che niente ed è stato lo stesso Renzi ad ammettere che i risultati non sono stati brillanti, lamentando che la fase di «transizione ha caratterizzato nel bilancio del semestre un rallentamento dei dossier», visto che «larga parte del tempo è stata dedicata allo sblocco dello stallo istituzionale». Indubbiamente il semestre italiano si è trovato nel bel mezzo della transizione tra la vecchia e la nuova Commissione Europea, il vecchio e il nuovo Parlamento Europeo, e anche la nomina del nuovo presidente del Consiglio Ue e la conseguente partita delle nomine alle alte cariche Ue. Detto questo, resta che quel che non si è visto è una visione sul futuro dell’Unione, al di là dei generici proclama sul «cambiamento». Ma come spesso avviene nella storia non è detto che questo cambiamento, o meglio la strada verso questa opportunità non sia arrivata dal tragici attentati del terrorismo islamista a Parigi. La risposta popolare a quegli eventi, in Francia come nel resto d'Europa potrebbe essere la chiave di volta che dimostra come non è attraverso le alchimie economico-finanziari che si unisco i popoli, ma attraverso valori condivisi. E questi sono quelli posti sotto attacco da parte degli integralisti islamici. Chissà insomma che una volta tanto la classe dirigente europea ed italiana con essa non venga colta dalla luce di comprendere che la Ue esisterà ancora non se verranno rispettati i “numeri” ma se i concetti di solidarietà, fratellanza e libertà, metteranno in secondo piano gli egoismi nazionali che spingono alla sopraffazione di un popolo su un altro facendo pagare alle classi popolari gli errori delle classi dirigenti politiche e finanziarie .