Le assunzioni crescono, ma si tratta di un’altra vittoria di Pirro?

Iniziano a vedersi i primi effetti pratici per l'occupazione prodotti dall'effetto combinato del Jobs Act (assunzioni a tutele crescenti) e della decontribuzione sulle nuove assunzioni.

La fonte, in questo caso, è l'Osservatorio del lavoro della Cna (Confederazione nazionale degli artigiani), che segnala una crescita sostenuta delle assunzioni a marzo nelle piccole imprese: +8,6% su base annua. In termini numerici, si tratta di 1.337 assunzioni a tempo indeterminato su un totale di 3.245 nuovi posti di lavoro. In valori assoluti le cifre in ballo sono molto poche, ma risulta significativo il trend, con una crescita del 54,6% in 12  mesi.

Anche il peso dei contratti a tempo indeterminato è in crescita, rappresentando il 41,2%, solo un anno fa la percentuale era del 28,9%.

La Cna precisa che all'interno del tempo indeterminato, crescono soprattutto le assunzioni a tempo pieno, quasi raddoppiate in un anno: +86% segnala ancora l'Osservatorio del lavoro della Cna, realizzato dal Centro Studi, che mensilmente monitora un campione di oltre 20.500 imprese che occupano circa 127mila persone. Sono diminuite le assunzioni con altre tipologie contrattuali: -8,3% il tempo determinato, -18,5% l'apprendistato. ''Il Jobs Act comincia a funzionare'' commenta la Confederazione delle Pmi dell'artigianato.

Ma quali sono di fatto queste novità introdotte dall'esecutivo che sembrano funzionare così bene sul mercato del lavoro?

Nel Consiglio dei Ministri dello scorso 20 Febbraio è stato approvato il Decreto Legislativo che disciplina il nuovo contratto a tutele crescenti e la normativa, correlata, sulle varie tipologie di licenziamento.

Per i datori di lavoro, da questa nuova tipologia di contratto a tempo indeterminato è possibile trarre molteplici vantaggi in termini economici, sia attraverso la misura congiunta del bonus previsto dalla Legge di Stabilità per le assunzioni a tempo indeterminato, sia per i casi di licenziamento che, in base alla nuova normativa prevedono un indennizzo di tipo economico in luogo della reintegra.

Per i contratti a tempo indeterminato stipulati dal 1 Gennaio 2015 si applica il bonus assunzioni, lo sgravio che esonera il datore di lavoro dal pagamento dei contributi previdenziali per i primi 36 mesi di attività lavorativa del neo assunto. Lo sgravio è riservato ai lavoratori che nei precedenti 6 mesi (rispetto alla data di assunzione) non sono stati occupati, con contratto a tempo indeterminato, presso lo stesso o presso un altro datore di lavoro; il bonus viene assegnato anche nel caso in cui un contratto a termine viene trasformato in un rapporto a tempo indeterminato. Lo sgravio è proporzionale alla durata del rapporto di lavoro nei 36 mesi in cui è prevista l’agevolazione (in caso di risoluzione anticipata) e prevede un massimale annuo di 8.060 euro.

Licenziamenti economici
Il Decreto Legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri e riguardante i licenziamenti, prevede che nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero per difficoltà economiche dell’azienda e per licenziamento per motivo soggettivo o per giusta causa, ovvero il licenziamento disciplinare, non è più prevista la reintegra (se non nei casi considerati nulli in sede di contenzioso) ma è previsto un indennizzo di natura economica proporzionato all’anzianità di servizio del lavoratore dipendente. L’indennizzo è previsto per i casi in cui il licenziamento avviene dopo che il rapporto di lavoro è in essere da almeno tre anni. In questi casi l’indennità prevista è pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 mensilità e con un massimo di 24 mensilità, secondo quanto stabilito dal giudice.

Tirando le somme, i datori di lavoro risparmiano fino a 8 mila euro l'anno di contributi e, alla fine, possono licenziare il lavoratore dandogli un  indennizzo più o meno generoso. In ogni caso si tratta di uno scambio vantaggioso per l'imprenditore, ma e per il lavoratore? Qui la risposta è meno scontata, probabilmente la scelta si riduce al minore dei mali: è meglio avere più tutele e rimanere disoccupati o rinunciare a qualcosa (forse anche molto in termini di tutela), ma avere un lavoro per i prossimi tre anni?

Messa in questi termini, la risposta può sembrare scontata, ma è certo che si poteva fare di più e meglio. Cosa accadrà nella maggior parte dei casi al termine dei tre anni? Quanti confermeranno il contratto o ripeteranno l'operazione bonus fiscale sostituendo il lavoratore con un altro, alla stregua di un mobile o di un macchianario ormai obsoleto?

Lo sapremo solo a tempo debito, in ogni caso Renzi per quella volta avrà già dato il testimone di premier a qualcun altro.