L’asse del jihad segna un nuovo punto: la dichiarazione di fedeltà di Boko Haram

Dopo la simpatia reciproca è arrivata l’alleanza. Il portavoce del califfato, Abu Muhammad al-Adnani, ha annunciato in un messaggio audio che il principe dei credenti Abu Bakr al-Baghdadi ha accettato la dichiarazione di fedeltà (bay’at) di Boko Haram, il gruppo jihadista nigeriano la cui pericolosità ed efferatezza sono del tutto paragonabili. La sinergia tra due organizzazioni che condividono una fede estremistica e intendono affermarla ricorrendo ai metodi più raccapriccianti non è una buona notizia per più di un motivo. L’asse califfato-Boko Haram è solo l’ultima dimostrazione di come il verbo jihadista si stia propagando in intere porzioni del Medio Oriente, dell’Africa settentrionale, orientale ed occidentale, sopra e sotto il Sahara e a cavallo del Sahel. L’ideologia radicale che accomuna i seguaci di al-Baghdadi e quelli del leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, sta attirando militanti ed organizzazioni terroristiche che già obbedivano agli ordini della vecchia centrale del jihadismo transnazionale, al Qaeda. Paesi come Algeria, Tunisia, Libia, Somalia, Mali sono infestati da combattenti su cui, dopo la stagione qaedista, sta ora facendo presa il nuovo brand del terrore, il califfato. Per le autorità preposte alla sicurezza, i segnali che si moltiplicano in questi giorni rappresentano un vero e proprio incubo. Nelle fila delle milizie dell’Isis ci sono almeno ventimila persone, i famosi foreign fighters, che sulla base delle nuove direttive di al-Baghdadi stanno ora facendo ritorno in patria con l’intento niente affatto celato di allargare il dominio del califfato. Solo in Tunisia, il principale esportatore di combattenti stranieri, sono rientrati centinaia di individui perfettamente indottrinati ed addestrati. Simili numeri rendono arduo il compito di chi è preposto a impedire che i tagliagole entrino in azione. Anche la Libia, come sappiamo, è uno dei fronti aperti di questo jihad globale. L’Isis si è già ritagliata alcune enclaves nell’ex feudo del colonnello Gheddafi e il fresco accordo tra i due governi contrapposti di Tripoli e Tobruk è il risultato anche del giustificato timore che la bandiera nera del Califfato venga innalzata nel resto del paese. Quanto alla Nigeria, l’union sacrée di Boko Haram e Isis lascia presagire il peggio. Molti reduci di Siria ed Iraq e altri soggetti che non sono riusciti a raggiungere i territori del califfato potrebbero ora approdare nel paese africano per prendere parte ad un conflitto che offre prospettive non meno allettanti di avventura e spargimento di sangue. Da questo punto di vista, Boko Haram gode agli occhi degli aspiranti jihadisti di un’ottima reputazione. Le squadracce di Abubakar Shekau hanno sottratto al governo intere porzioni della parte nordorientale della Nigeria, innescando una guerra che coinvolge ora anche i paesi confinanti e sferrando una lunga sequenza di colpi spettacolari, con un bilancio di decine di migliaia di morti e oltre un milione di sfollati. Anche sul fronte della propaganda, Boko Haram ha al suo attivo svariati successi. È ancora fresco il ricordo del sequestro di oltre duecento studentesse cristiane, un evento che ha scioccato il mondo e che è stato abilmente sfruttato da Boko Haram per rafforzare la propria immagine. La sorte delle adolescenti è ancora ignota, a parte la loro conversione forzata all’islam documentata da un video che ha fatto il giro del pianeta e la minaccia, probabilmente realizzata, di offrirle ai miliziani come schiave sessuali. Nella gara al rialzo tra chi compie le azioni più feroci, Boko Haram ha poco da invidiare ai correligionari del califfato, come dimostra tra le altre cose l’uso come kamikaze di bambine di età non superiore a dieci anni. Insomma, l’affratellamento tra il califfato del Medio Oriente e quello nigeriano dimostra una volta per tutte l’immane sfida rappresentata da un’ideologia estrema, il jihadismo, che si diffonde a macchia d’olio e ha già un suo radicamento in tre continenti, Europa inclusa.

Marco Orioles