L’Arabia Saudita sospende la lapidazione di una lavoratrice domestica srilankese

Una donna madre di due bambini è stata condannata alla pena capitale per adulterio dopo aver avuto una relazione extra-coniugale, il suo amante invece deve ricevere “solo” 100 frustate. La notizia non proviene dalle cronache del medioevo e neppure da qualche villaggio tribale sperduto ma dalla Arabia Saudita, alleato di un occidente così sensibile ai petrodollari da soprassedere ad ogni nefandezza. Lo stesso occidente che ha cercato di esportare a “fil” di... bomba la democrazia in mezzo mondo provocando i disastri che abbiamo sotto gli occhi. Per fortuna questa sentenza di morte per lapidazione è stata sospesa, ma non così temiamo avverrà per le decine di persone in aattsa nel braccio della morte delle carceri di Riyadh. In questo caso le autorità dell’Arabia Saudita hanno deciso di sospendere la pena capitale per lapidazione della donna che fra l'altro è straniera, srilankese per la precisione e che lavorava nel Regno come domestica. La lavoratrice, dall’identità non rivelata e madre di due bambini, era stata condannata alla pena capitale per adulterio, mentre il suo amante (un uomo fra l'altro non sposato) a ricevere le coraniche 100 frustate.
Nei giorni scorsi diversi leader religiosi, attivisti sociali e il governo dell’isola asiatica di cui è originaria la donna, avevano lanciato un appello urgente affinchè venisse concessa la grazia. Harsha de Silva, vice ministro degli Esteri srilankese, ha riferito davanti al Parlamento di Colombo la decisione di Riyadh di riaprire il caso. De Silva ha aggiunto che alcuni rappresentati diplomatici di Colombo hanno incontrato in carcere la condannata e l’hanno rassicurata per il raggiungimento dell’accordo di sospensione dell’esecuzione. “Secondo noi questo accordo è una vittoria”, ha detto, aggiungendo che il ministero si farà carico dell’intero ammontare delle spese legali per la riapertura del procedimento e “farà tutti gli sforzi possibili per modificare questa sentenza”, perchè sospensione vnonvuo dire liberazione, ma solo revisione del processo. La scorsa settimana il caso della lavoratrice ha sollevato le preoccupazioni dell’intera società srilakese. Mangala Samaraweera, ministro degli Esteri, ha incontrato la controparte saudita per richiamare l’attenzione di Riyadh sul caso della donna. Inoltre il Muslim Council Sri Lanka, un’organizzazione della minoranza musulmana nell’isola, ha scritto al re saudita per chiedere il perdono di entrambi i colpevoli, sottolineando il loro scarso livello d’istruzione e la situazione di indigenza economica. Infine il National Sangha Council, un’organizzazione buddista, ha scritto una lettera-appello all’ambasciatore saudita in Sri Lanka richiedendo di salvare la vita della donna. Alla lettera sono seguite delle manifestazioni di fronte all’ambasciata e all’ufficio delle Nazioni Unite della capitale dello Sri Lanka. Dal resto del mondo “civile”, fatta eccezione per le onlus umanitarie è arriva un silenzio assordante. Un barile di petrolio a buon prezzo vale evidentemente più di una vita e così, magari bendati, si può scagliare la prima pietra.