La residenza e il sottosuolo. Dal regno animale alle civiltà dei mortali.

Un aspetto distintivo che genera scarto tra regno animale e umanità è il culto dei morti. Il compimento intellettuale e sensibile dei mortali, qualunque ne sia l’origine, fisico e biologico oppure divino e spirituale, o entrambi, certamente si è manifestato nell’intuizione della Morte: un grado di forza e geniale intuitività sconosciuta a qualsiasi specie animale precedente o attuale, ci vive e attraverso tutte le facoltà di cui disponiamo, orienta l’immaginario oltre noi stessi. Anche gli animali intuiscono l’estinzione individuale e collettiva, ma non sembrano aver elaborato questo avvenimento, né orientato la loro esistenza, tutta rivolta alla sussistenza, alla riproduzione e al gioco, a celebrare e ritualizzare quel destino mortale che ci accomuna. In particolare la protezione-santificazione degli antenati, la conservazione dei ricordi di coloro che non ci sono più, la creazione delle città dei morti, ha potenziato l’identità umana, troppo effimera, disponendoci ad una vitale alienazione dalle maglie mortifere dello spazio e del tempo, e all’intuizione stupefacente e tremenda dell’eternità. Questa tensione fisica e spirituale si è manifestata, originaria, nella cultura dell’abitare, prima ancora che fosse scoperta l’agricoltura (neolitico), molto prima della nascita della scrittura (fine della preistoria). E’ assai possibile che le prime comunità nomadi e stanziali, precedenti all’adozione dell’agricoltura, le più remote comunità umane (paleolitico e mesolitico), abbiano “addomesticato” quelle terre, più o meno fertili, proprio là dove venivano seppelliti i propri cari, i quali estendevano la familiarità e il senso della pace e d’intimità domestica, al suolo ostile ed estraneo, ancora sconosciuto dagli umani. Un processo lento e progressivo di familiarizzazione della terra (che non esclude il cielo), è il motore spirituale unificante dei mortali: in sé accoglie e orienta, nel desiderio e nella volontà individuali e collettive, tutto il Creato.

Se l’autodistruttività umana, così avvertita negli ultimi duecento anni, fosse il sintomo di una perdita del senso della morte, di una sua progressiva rimozione dall’immaginario collettivo e privato, di un sostanziale depotenziamento spirituale in cui la transitorietà dell’esistenza la si fugge senza accoglierla interiormente, educandoci ad essa, allora anche l’attuale attività scientifica e tecnica rivolta al superamento indolore della Morte, fisico e psichico, illude di guarire, ma di fatto annienta l’identità morale più profonda dell’essere mortale: quel suo “essere-per-la-morte” così radicale che destinandolo, gli apre per necessità, le vie più alte dell’esistenza materiale.

Non è un paradosso, anzi filosoficamente assai facile da esplicitare, ma ignorando l’ascolto non violento, interiore, della morte anche l’esperienza della vita si spegne: la tragicità greca ci ha lasciato un’eredità spirituale inestimabile da questo punto di vista. Sarà mia cura, in questo contesto, riaprire lo splendore della testimonianza che si offre nel personaggio di Antigone di Sofocle che forse causa la bellezza tragica di Creonte, metafora della dignità e della solitudine del Potere, non è mai stata posta radicalmente nella sua più profonda “infrarossa” luce.

Una considerazione ancora sull’attrazione gravitazionale che il sottosuolo esercita sui mortali: in epoche remotissime dell’umanità, il luogo della sepoltura poteva fondare un “luogo del ritorno”. Obbligati a migrare, clan, gruppi umani, tribù familiari, stabilivano un luogo d’origine a cui tornare se condizioni migliori in futuro l’avessero permesso, facendo memoria del sito di sepoltura dei propri affetti più cari e forse stabilendo di generazione in generazione una narrazione, una leggenda, un mito familiare del “ritorno”. Queste radici mortali sono un’essenza profonda della nostra identità umana che se estirpate potrebbero sradicarci definitivamente e irreversibilmente da noi stessi. E’ evidente a molti analisti contemporanei che l’attuale civiltà del XXI secolo è “gassosa” cioè aerea e volatile, il concetto di “liquidità” oggi spesso utilizzato per connotare una perdita di solidità nelle certezze e nelle fedi che animano il sociale, è retrodatabile almeno al XVII secolo, quando l’immaginario scientifico marittimo entrò prepotentemente nella cultura politica, civile, popolare delle nazioni.

La residenza, il luogo che è sede della nostra esistenza personale, il luogo dove ciascuno di noi esercita liberamente la propria sovranità (entro i sapienti confini del diritto pubblico) può evolvere nella più sincera macchina del tempo per abitare la storia e rievocare i timbri dell’umanità. Solo così può “sedimentare” come luogo estremo della nostra resistenza, della resistenza morale e mortale, all’oltraggio crescente e ineffabile della nientificazione così difficile da individuare e controllare.