La Corte Costituzionale reputa inammissibile il referendum sulla legge elettorale chiesto dalla Lega. Salvini impreca contro i giudici

Alla fine la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sulla legge elettorale chiesto dalla Lega che aveva impegnato la sua macchina della propaganda "convincendo" ben otto regioni a richiederlo. Richiesta che è stata dichiarata inammissibile per "l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario" nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della “normativa di risulta”. Salvini è andato su tutte le furie anche se poteva aspettarsi la bocciatura: "Torniamo alla peggiore politica italiana" ha dichiarato accusando la magistratura. Come accennato in apertura il referendum era stato promosso da otto consigli regionali (Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Liguria) guidati dal centrodestra con lo scopo di trasformare in un maggioritario puro l'attuale sistema, attraverso l'abrogazione delle norme sulla distribuzione proporzionale dei seggi. Preventivamente, la Corte ha anche bocciato il conflitto di attribuzione che 7 regioni su otto avevano presentato il 7 gennaio scorso. Sul piano giuridico l'oggetto della richiesta referendaria erano, in primo luogo, le due leggi elettorali del Senato e della Camera con l’obiettivo appunto di eliminare la quota proporzionale, trasformando così il sistema elettorale interamente in un maggioritario a collegi uninominali. Per garantire l’autoapplicatività della “normativa di risulta” – richiesta dalla costante giurisprudenza costituzionale come condizione di ammissibilità dei referendum in materia elettorale - il quesito investiva anche la delega conferita al Governo con la legge n. 51/2019 per la ridefinizione dei collegi in attuazione della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. In attesa del deposito della sentenza, che avverrà entro il 10 febbraio, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che a conclusione della discussione la richiesta è stata dichiarata inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della “normativa di risulta”. Preliminarmente, la Corte ha esaminato, sempre in camera di consiglio, il conflitto fra poteri proposto da cinque degli stessi Consigli regionali promotori e lo ha giudicato inammissibile perché, fra l’altro, la norma oggetto del conflitto avrebbe potuto essere contestata in via incidentale, come in effetti avvenuto nel giudizio di ammissibilità del referendum.