Italia in saldo, ormai in rapaci mani straniere il 43% delle aziende quotate

L'allarme non viene alla Fiom di Maurizio Landini o dalla sua Coalizione sociale e nemmeno da suggestioni grilline, a parlare di Italia terra di conquiste con il boom dello shopping estero nel made in Italy a livello di siti produttivi ma anche attraverso piazza Affari è Unimpresa. Secondo l'Unione nazionale di Imprese, organizzazione nazionale nata nel 2003, che costituisce il sistema di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese che operano nei diversi settori dell’attività primaria, secondaria e terziaria, le aziende italiane aumentano di valore assoluto, ma sono sempre più in mani straniere: il 43% delle società per azioni italiane quotate in Borsa, che hanno visto crescere la capitalizzazione complessiva di quasi 5 miliardi di euro nell'ultimo anno, è posseduto infatti da soggetti esteri. Mentre il 44% di tutte le imprese (anche le non quotate) è controllato da italiani. Da dicembre 2013 a dicembre 2014, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 451,4 miliardi di euro a 456,2 miliardi in lieve crescita di 4,8 miliardi (+1,1%). Sul listino tricolore cresce però il peso degli azionisti "non italiani" che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 196,4 miliardi, il 43% del totale e questo è avvenuto al di là di ogni considerazione sul costo del lavoro, sull'abolizione dell'art.18 o sul jobs act renziano . Predominante e in aumento è anche il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 818,8 miliardi, in aumento di 26,8 miliardi. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, sull'andamento del valore delle aziende italiane nell'ultimo anno.
Secondo l'analisi di Unimpresa, basata su dati della Banca d'Italia, da dicembre 2013 a dicembre 2014, si è dunque assistito a un leggero scatto in avanti del valore delle spa presenti sui listini di piazza Affari, ma l'andamento del valore delle quote presenta delle differenze secondo la categoria di azionisti. Le partecipazioni di spa quotate in mano alle imprese italiane a dicembre 2014 valevano 117,8 miliardi (il 25,8% del totale) in diminuzione di 11,6 miliardi (-9%) rispetto ai 129,5 miliardi di dicembre 2013. Le banche continuano ad avere una presenza forte, seppure in calo, nel capitale delle spa quotate con il 6,5%, pari a 29,4 miliardi in calo di 3 miliardi (-9,4%). In una nota Uninpresa spiega per bocca del suo presidente Paolo Longobardi: "Se da una parte va valutato positivamente l'aumento del valore delle imprese italiane, dall'altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l'attività speculativa". "La fortissima crisi che sta colpendo l'Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi", aggiunge Longobardi.
Insomma c'è il rischio concreto che il passaggio d controllo di aziende sia preludio di esportazione di tecnologia e marchi, lasciando poi vuoti e disperati i livelli produttivi nazionali con gravi conseguenze sui livelli occupazionali. Sono rari infatti i casi di investimenti finalizzati al mantenimento e sviluppo dei siti produttivi in Italia, avviene sono dove le maestranze sono talmente specializzate da non poter essere facilmente sostituite all'estero. In ogni caso non esistono reali clausole di salvaguardia per i nostri siti produttivi, questo avviene per l'assenza di un progetto industriale chiaro, delle linee guida a livello governativo che possano “scudare” le migliori aziende italiane ed i loro prodotti dagli assalti speculativi. Regole che in Francia e Germania esistono. Ovviamente il responsabile non è certo solo il governo Renzi che questa eredità l'ha ricevuta, ma almeno un ventennio di assenza della politica dall'indirizzo industriale. Semmai il governo Renzi sta sbagliando ora nello spingere modelli falsamente innovativi come quello di Marchionne che di fatto avrà anche salvato la Fiat ma non la sua italianità, ha esattamente fatto il contrario targandola Usa. Forse era l'unico modo per salvarla, ma il dubbio che vi fossero altre strade è legittimo. In ogni caso l'idea di internazionalizzare tutto è molto rischiosa perchè attrarre capitali stranieri è positivo ma non quando alla fine sono solo finalizzati a privare il paese della linfa produttiva. Un fenomeno che vede contrari non solo i sindacati, preoccupati giustamente per i livelli occupazionali, ma anche la migliore imprenditoria nazionale che si vede sempre di più scavalcata dall'autoritarismo renziano nelle scelte di politica economica secondo la formula tanto cara al premier: ascolto tutti ma poi decido io... come mi pare.

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