Israele resta a destra e la Palestina dispera

Lo chiamavano “il prestigiatore” o “il mago Houdini” per la sua abilità nel tenersi a galla nell’agitato mare politico di Israele. E così, da 22 anni sulla scena, ne aveva totalizzato 9 da Premier (l’ultima volta da 6 anni fa a oggi), più di Ben Gurion, il padre fondatore della patria. Contro ogni pronostico e sondaggio anche stavolta Benjamin Netanyahu, “Bibi” per gli estimatori, è riuscito a evitare il cambio di rotta del Paese. Anzi col suo “Likud” e l’alleanza con i partiti religiosi, ha avuto un numero di seggi superiore al 2012. Le elezioni politiche hanno sancito il tonfo della Sinistra laburista (col nuovo nome di “Unione sionista”), il partito che fu di Golda Meir e Mosè Dayan (nonché di Shimon Peres, capo dello Stato) affidato a Isaac Herzog e alla coriacea Tzipi Livni, la nuova Meir, che ha condotto le trattative di pace con i palestinesi. Se avessero vinto, sarebbero stati loro due a guidare il Paese a turno: staffetta ogni due anni. Il fascino di “Bibi” si è tutt’altro che consumato ed è riuscito il suo disperato rush finale per reinventarsi come il saggio anziano della tribù. All’illusionista che ha mantenuto la sua bacchetta magica è risultata decisiva l’ultima carta che ha giocato definendosi in televisione “Bibi-sitter”, unico adulto in una marea di politici-bambini. Il rapporto del partito-guida (il Likud) con il Paese reale non si è incrinato anche perché la gente ha capito che la sua ‘guerra eterna’ contro il terrorismo di Hamas è una strategia vincente. Eppure c’era preoccupazione per il costo della vita, i prezzi degli appartamenti che salgono, la crescente disparità sociale. La sua durezza nel rapporto con Abu Mazen, leader dei palestinesi, e lo strappo con gli Stati Uniti di Obama, eterni alleati, è apprezzata. E non l’hanno toccato neppure gli scandali: le eccessive spese - a carico dei contribuenti - della sua famiglia, senza parlare del cosiddetto ‘bottiglia-gate’: sua moglie Sara intascava i centesimi dei vuoti a rendere. Pur non avendo inciso sul risultato, nel Paese del tradimento nell’orto dei Getsemani, i Giuda di turno sono stati i suoi ex ‘apostoli’, da sempre puntello del suo potere: i generali e i capi degli 007 (il potente Mossad) che, andati in pensione, l’hanno scaricato. Il Premier ha detto che sono stati pagati da miliardari stranieri (Usa) legati a organizzazioni internazionali di sinistra che vogliono il ritiro dai territori palestinesi e la divisione di Gerusalemme. L’esito delle elezioni non dà certamente fiato al negoziato per il riconoscimento della Stato della Palestina che Netanyahu proclama di non voler mai accettare. L’Onu nel 1948 fece nascere Israele, ma raccomandò lo stesso anche per la Palestina. Dopo 67 anni l’ora non sembra ancora arrivata, anche perché, prima, Abu Mazen deve frenare gli oltranzisti di Hamas a Gaza che non accettano l’esistenza del Paese ebraico. Il voto ha emesso un altro verdetto: la promozione delle due estreme: con Netanyahu l’ultradestra di Avigdor Liberman, che fu il ministro degli Esteri meno diplomatico di Israele, in misura minore, sul fronte opposto, l’ultrasinistra del partito radicale “Meretz”.

Augusto Dell’Angelo

Augusto.dell@alice.it