In libreria il nuovo libro di Lucia Burello “Dannato Friuli. Storie di antichi omicidi per il dopocena”

copertina_burello2Dal pozzo nero e profondo delle antiche cronache, continuano a riemergere, grazie alle ricerche della giornalista e scrittrice Lucia Burello, fatti e misfatti del Friuli Venezia Giulia tra il XIX e il XX secolo. Dopo l’antologia intitolata “Cronache assassine” del 2011, dove l’autrice ha riportato ben 350 omicidi avvenuti in regione nel corso dell’Ottocento, è ora uscito in libreria: “Dannato Friuli. Storie di antichi omicidi per il dopocena”, Gaspari Editore, e che sarà presentato ufficialmente, “venerdì 13” alle 18 nel salone consiliare di Palazzo Belgrado a Udine, sede della Provincia. Patrocinato dalla Camera Penale del Friuli Venezia Giulia, sponsorizzato dalla Fondazione Crup di Udine, dall’associazione “La Rinascita”, e presentato dalla prefazione dello scrittore Paolo Maurensig, che al momento svetta nelle classifiche con il suo ultimo noir: “Teoria delle ombre”, il volume della Burello racconta una trentina di delitti accaduti in regione dal 1900 fino al 1970. Tre sole eccezioni: l’omicidio perpetrato da parte del noto pittore Sebastiano Florigerio, nel 1529, l’assassinio del pittore Francesco da Ravenna nel 1549 e un efferato duplice omicidio avvenuto a Pordenone in pieno secolo dei Lumi, il XVIII.
Insomma: si tratta di fattacci che, più o meno rumorosamente, trovarono spazio sulle pagine delle cronache cittadine e sugli atti dei tempi andati.
Ecco che assieme agli ormai leggendari casi dell’impiccata di Masarolis, della strage di Scodovacca, dell’agghiacciante “mattanza” milanese che ha visto protagonista Rina Fort, assurta poi agli “onori” delle cronache con il soprannome “Belva di Budoia”, nel volume si legge anche di casi “minuti”, passati in sordina, come il misterioso ritrovamento di una testa, l’insolita comparsa di una croce, di un teschio o lo straziante epilogo di un matrimonio consumato nella miseranda cornice del Villaggio Metallico, la Santa Barbara udinese a stelle e strisce e trasformata, dopo l’abbandono degli alleati a fine conflitto, in bidonville.
E a proposito di alleati, toccante il delitto di un giovane appena ventenne, consumatosi inspiegabilmente in una notte triestina, dove dai localini uscivano le note Jazz importate d’oltre oceano.
La lettura d’ogni storia è breve, vivace, ma intensa e, paradossalmente, lo sguardo del lettore non può che diventare, alla fine, compassionevole, perché è impossibile elevarsi a giudici di fronte a quelle anime infelici e disgraziate che Lucia Burello ha voluto resuscitare dall’oblio.
Scrive, al proposito, Paolo Maurensig: «Lucia Burello, già nota come “storica delle antiche locande di Udine”, stavolta s’immerge in apnea nelle torbide profondità della psiche: rivisitando i propri stessi articoli, riandando indietro nel tempo, fino agli inizi del Novecento (quasi volesse frapporre un rassicurante diaframma tra il lettore e l’efferatezza dei fatti di sangue narrati), ci prende per mano per condurci in questa galleria degli orrori. Lo fa dismettendo l’abito del giornalista per indossare quelli del narratore (anche se lei preferisce definirsi un “rigattiere di atmosfere del passato”). E che atmosfere! Ciò che ne esce, quindi, non è solo una serie di algidi fatti di cronaca giudiziaria, ma veri e propri racconti in cui si indaga sulla strategia e il mimetismo del male, che spesso giungono a compimento nella forma di aberranti rituali. Racconti aspri, brutali, raccapriccianti, ma che l’autrice sa velare con umana pietà».