In Libia adesso paghiamoi gli errori del passato

Mai siamo stati così insicuri, dall’Ucraina alla Libia, dal califfato dei tagliagole in Siria e Iraq, per finire con la Grecia dove la miccia è economica e non militare. Ma ammettiamolo: noi occidentali (e in particolare noi italiani) paghiamo i troppi errori di un recente passato. Ora che tutti i nodi vengono contemporaneamente al pettine dobbiamo almeno evitare di cadere in depressione, il che l’obiettivo principale dell’Isis che punta a proiettare di se stessa l’immagine di ferocia.
Calma e gesso dice saggiamente Renzi che non si preoccupa di smentire i suoi ministri degli Esteri Gentiloni e della Difesa (Pinotti) preferendo delegare il ‘lavoro sporco’ all’Egitto per la vendetta dopo l’assassinio dei 21 cristiano- copti così come aveva fatto Obama con Amman dopo che un pilota giordano era stato arso vivo in una gabbia.
In un revival di “En attendant Godot’, l’Italia spera che si muova l’Onu per potersi mettere sotto la sua egida e così nascondere le nostre gravi carenze militari, magari unendosi in un patto tripartito con Spagna e Francia, interessate come noi a disinnescare la miccia libica.
Però noi abbiamo una responsabilità e problemi maggiori perché la Libia fu una nostra colonia e si trova appena al di là di un lembo di mare.
Ma le molteplici crisi che stanno attanagliando l’Occidente dimostrano senza ombra di dubbio quanto fosse fallace l’illusione di Bush di esportare la democrazia nei Paesi angariati da dittature e quanto fosse stata dissennata l’operazione militare voluta da Francia e Inghilterra che nel 2011 segnò la fine politica e umana di Gheddafi, così com’era avvenuto 8 anni prima per Saddam.
Perché non dire la verità? La spinta era il miraggio del petrolio, non la stabilità di quei Paesi. Si è pensato a vincere sul campo, ma ignorando quali sarebbero stati gli sviluppi del futuro. Senza tiranni, ma caos incontrollabile. Col rais di Bagdad c’era almeno libertà di religione (il ministro del petrolio, il cristiano Tarek Aziz, era andato addirittura in visita dal Papa), con quello di Tripoli era tenuta a freno la miriade di milizie armate guidate dal labirinto di tribù del Paese. E poi, pagando Gheddafi, si era riusciti a limitare al massimo l’invasione dei disperati verso Lampedusa.
Se prima c’era una tirannide, ora in Libia ci sono due Governi e due Parlamenti, ma non esiste un vero Stato.
Meglio sarebbe affidare a Prodi una mediazione, tanto più che il nostro ex Premier è gradito a molte delle tribù locali, magari revocando l’embargo che vieta di fornire gli armamenti necessari alle forze dei Governi insediatisi a Tripoli e a Tobruk.
E così potremmo forse anche salvare le forniture di petrolio che, complice la situazione in Ucraina, rischiano di essere insufficienti al nostro fabbisogno. Quindi, se l’Onu si decide a muoversi e le cose si volgono al bello, meno profughi, più greggio e il ritorno dei tanti nostri imprenditori che son dovuti fuggire per non finire alla mercè di quell’Isis che non esita a usare come un’arma la vita propria e quella degli altri.

Augusto Dell'Angelo