In Iran Facebook è da pena capitale, una petizione ti salva la vita
E’ quanto è successo al blogger e fotografo Soheil Arabi: per aver insultato alcuni politici del suo paese insieme al profeta Maometto attraverso Facebook, Arabi era stato definitivamente condannato alla pena capitale nel novembre 2014 (a nulla era valso il pentimento espresso per le cose scritte). Quella stessa rete attraverso la quale Arabi aveva espresso le sue opinioni si è messa in moto a suo favore: grazie a Sabri Najafi ed alla petizione da lei promossa su Change.org sono alla fine arrivate 240.000 firme per richiedere al governo iraniano di non procedere con l’esecuzione.
Attraverso il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, Luigi Manconi, l’attivista iraniana Najafi ha inviato dall'Italia un messaggio al proprio paese: “Non ho lanciato questa petizione per condannare l’azione del governo iraniano. Né è mia intenzione criticare la decisione di punire Soheil per le offese che ha rivolto al Profeta Maometto. Ho promosso questo appello perché non capisco il motivo per cui il Presidente iraniano Hassan Rouhani abbia condannato la strage a Charlie Hebdo e adesso permetta la morte di Soheil. Se non si ritiene giusto uccidere dei giornalisti per le loro opinioni, allo stesso modo non può essere condannato a morte un uomo per un post che ha scritto su Facebook. Non critico la volontà di punire Soheil ma la pena di morte in questo caso è assolutamente inadeguata. Molte persone nel mondo – in Italia, in Francia e negli Stati Uniti – hanno aderito al mio appello, lo hanno sottoscritto e condiviso. Adesso confido nel governo iraniano e nel Presidente Rouhani, convinta che possano confermare con i fatti le opinioni espresse dopo la strage di Charlie Hebdo (come riporta ilfattoquotidiano.it)".
Le firme raccolte ed il messaggio di Najafi sono state consegnate all’ambasciatore iraniano in Italia, Jahanbakhsh Mozaffari, dallo stesso Manconi. L’ambasciatore si è impegnato a raccogliere l’appello e a riportarlo al proprio governo: il risultato è stato che al trentenne fotografo, padre di una bimba di 5 anni, è stato cambiato il capo d’imputazione. La pena di morte è stata scongiurata: la conferma l’ha data lo stesso presidente Manconi. Ma questa è stata anche la conferma che, quando si parla di libertà d’espressione, così in Europa come nel mondo arabo, non si possono più usare due pesi e due misure. A partire dalla Repubblica Islamica dell’Iran.