Il tormento della parola mancante

wisc582awa-szymborskaTra i tanti poeti da non dimenticare, il premio Nobel, Wisława Szymborska 

Ci sono parole di cui si abusa, sottovalutandone la portata. La parola “tutto” ad esempio, è una di quelle che impazza sui nomi delle testate giornalistiche, sulle ragioni sociali dei negozi, sui titoli del gossip e negli ambiziosi desideri di ognuno di noi. Noi che vogliamo tutto, in una spasmodica quanto annoiata ricerca. Noi che ci connettiamo con “tutto” il mondo con la presunzione di sapere “tutto”, o quasi. E dietro a questa parola, sembra nascondersi il desiderio di avvicinarsi al potere divino, alla conoscenza suprema. Ma «Tutto - ci ha insegnato una poetessa polacca premio Nobel, Wisława Szymborska (Kòrnik, 2 luglio 1923, Cracovia, 1 febbraio 2012) è - una parola sfrontata e gonfia di boria. Andrebbe scritta fra virgolette. Finge di non tralasciare nulla, di concentrare, includere, contenere e avere. E invece è soltanto un brandello di bufera».
Ecco che lo spunto di una parola, ci porta a ricordare la Szymborska che, esattamente 70 anni fa, divenne famosa al mondo proprio cercando “una parola”. Già, “Cerco una parola”, così si intitolava la sua prima poesia pubblicata il 14 marzo 1945 nel settimanale polacco "Walka". Un grido contro l'orrore dei campi di sterminio.
«Questa parola deve essere come un vulcano, che erutta, scorre, abbatte, come terribile ira di Dio, come odio bollente. Voglio, che questa unica parola, sia impregnata di sangue, che come le mura tra cui si uccideva contenga in sé tutte le fosse comuni. Che descriva precisamente e con chiarezza chi erano loro – tutto ciò che è successo. Perché questo che ascolto, perché questo che si scrive è ancora tropo poco.
La nostra lingua è impotente, i suoi suoni all’improvviso, poveri. Cerco con lo sforzo della mente cerco questa parola, ma non riesco a trovarla. Non riesco».
Abbiamo conosciuto la Szymborska sei anni fa a Palmanova, una signora riservata ma simpatica. Dopo il suo trasferimento a Cracovia nel 1931, la poetessa visse l'occupazione militare tedesca e la successiva occupazione ideologica russa, maturando quella coscienza critica che la portò ad essere tra i maggiori intellettuali del Novecento. Censurata, perché non allineata con l'ideologia estetica socialista di impronta realista, alla fine del secondo conflitto mondiale si avvicinò alla sinistra collaborando al supplemento del settimanale “La lotta”. Nel 1952 si iscrisse al partito comunista aderendo volontariamente ai canoni estetici imposti dalla politica, spersonalizzando così la sua opera a favore di problematiche politico-sociali. Dal partito prenderà le distanze nel 1966 per solidarietà con Kolakowski, un intellettuale represso dalle autorità comuniste per la sua aperta protesta contro la censura. E così, a partire dal 1957, con la raccolta “Appello allo Yeti”, la Szymborska di distacca dall'ideologia imperante rivelando una poetica visionaria e onirica, senza mai scadere nel grottesco. Utilizza espedienti retorici quali l'ironia, il paradosso, la contraddizione, per illustrare temi filosofici e le ossessioni sottostanti. Enigmi esistenziali che rifiutano il melodramma. Acquistò una dimensione propria, tornando anche a temi politici e sociali, ma ormai completamente “epurati” da prese di posizione assolutiste. La storia, i suoi movimenti, i suoi protagonisti, vengono visti da una originale visuale ravvicinata, senza filtri storicistici. La sua è, infatti, una storia de-storicizzata. «Il poeta odierno – ci aveva spiegato durante l'incontro del 2009 – è scettico e diffidente anche, soprattutto nei confronti di sé stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta, quasi se ne vergognasse un po'. Ma nella nostra società chiassosa è molti più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le nostre qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo. In questionari o conversazioni occasionali, quando il poeta deve necessariamente definire la sua occupazione, egli indica un genere “letterario”, o nomina l'altro lavoro da lui svolto. La notizia di avere a che fare con un poeta – conclude il premio Nobel – viene accolta dagli impiegati o dai passeggeri sull'autobus con una leggera incredulità e inquietudine».
L'amore per la poesia della Szymborska, assume molteplici forme, ma è principalmente miracolo, mancanza, memoria, dolore, caso, brevità, impossibilità. Impossibilità straordinaria di sapere, di avere e di essere tutto.