Il patto di Londra del 26 aprile 1915

7195910-L-186x300Se si sfogliano i giornali di cent'anni fa, si nota che il Regno d'Italia si attiene, inizialmente (agosto e settembre 1914), al più stretto neutralismo, vietando le manifestazioni interventiste. Abbiamo già segnalato, ad esempio, il fermo di alcuni studenti che il 5 ottobre avevano gettato volantini in un Teatro di Udine.
Ma poi, man mano che il tempo passa e il nostro dito fa girare le pagine, si nota una certa tolleranza, e i giornali possono pubblicare discorsi allusivi, come quello del conte Antonino di Prampero che a Gemona, il 18 ottobre, nell'ambito del Convegno della Società Storica Friulana, si dichiara felice di essere ancora in vita “quando più vive sono le speranze, quando spunta già la sicurezza che vedremo realizzarsi il nostro lungo sogno del compimento agognato della Patria nostra”. L'oratore non indica lo strumento (la guerra) e il nemico da battere (l'Austria): si limita allo scopo, ma tutti capiscono che sta parlando della guerra contro l'Austria per la conquista di Trento e Trieste.
Il 24 ottobre il Prefetto di Udine non si oppone alla pubblicazione di “Ora o mai”, giornale ferocemente interventista diretto da Romeo Battistig con la collaborazione di Attilio Venezia e il finanziamento dello stesso di Prampero, e in novembre consentirà a Cesare Battisti di tenere un infuocato comizio a favore della guerra nel Teatro Minerva, e, come già sanno i lettori del “Dopo Sarajevo”, i giornali saranno liberi di diffondere a lungo raggio quel discorso.
Anche le celebri riviste fiorentine di Papini e Prezzolini saranno libere di predicare la guerra per dare all'Italia un ruolo di grande potenza, e la stampa sarà gradualmente libera di indicare ai suoi lettori la necessità, o meglio l'inevitabilità dell'intervento: “ora o mai” diventa uno slogan.
Domandiamoci, a questo punto: perché lo Stato, rigidamente neutralista e rispettoso delle leggi internazionali in materia, consentì poi a tutti coloro che lo volevano di predicare la guerra, più o meno velatamente, contro l'Austria?

Il ministro Sidney Sonnino

Il ministro Sidney Sonnino

Perché sta contrattando con l'Austria il prezzo della neutralità e, auspice la Francia che già finanzia “Il Popolo d'Italia” di Benito Mussolini, il prezzo dell'intervento nel campo dell'Intesa.
Il Re, Salandra (primo ministro) e Sonnino (ministro degli esteri) già sanno come finirà quella tragica partita a poker, perché l'Austria, sorda anche ai buoni consigli della Germania, gioca a perdere tempo sperando in un “Blitz” contro la Serbia, mentre dall'altro campo arrivano generose offerte anche finanziarie (un prestito pubblico di cinquanta milioni di sterline). E allora è bene che l'opinione pubblica si prepari alla guerra e per questo bisogna lasciare campo ai persuasori.
C'è però un problema procedurale: il Parlamento, neutralista a grande maggioranza, come dimostrerà l'adesione di trecento deputati al “parecchio” di Giolitti, autorevolissimo propugnatore della neutralità (armata e ben pagata), non voterà mai a favore della guerra.
Come aggirare l'ostacolo, visto che l'Intesa offre, in caso di vittoria, molto più di “parecchio”?
Il Governo, con il consenso del Re, unico titolare della politica estera a tenore dell'articolo 3 dello Statuto albertino, sceglie una soluzione extraparlamentare, e in segreto firma un patto d'alleanza con Francia, Inghilterra e Russia, passato alla storia come Patto o Memorandum di Londra. Era il 16 aprile 1915, e quello fu il vero inizio della Grande guerra In Italia.
Ci sono storici che vedono in quel colpo di mano autoritario e anticostituzionale l'origine o almeno il germe del futuro fascismo e della dittatura; altri non condividono questo giudizio, ma riconoscono che l'Italia entrò in guerra per volontà di pochi uomini che avevano tessuto la trama in gran segreto: talmente in segreto che il testo del Memorandum fu conosciuto soltanto dopo la sua pubblicazione su “Istvestia” da parte dei bolscevichi alla fine del 1917.
Ma al di là del giudizio che si può dare di quel Patto, chiaro esempio di diplomazia segreta, firmato dal Ministro degli esteri britannico Edward Grey, dagli ambasciatori Perre Paul Cambon, Alexander Benckendorff e Guglielmo Imperiali, vediamo quali furono gli obblighi “contrattuali” dell'Italia.
L'Italia si impegnò a entrare in guerra entro un mese a partire dal 26 aprile e ad aderire alla dichiarazione del 5 settembre 1914, che impegnava le potenze alleate nell'Intesa a non concludere la pace separata con la Germania.
Quali i suoi diritti?
“Dans le traité de paix l'Italie obtiendra le Trentin, le Tytol cisalpin avec sa frontière géografique et naturelle (la frontière du Brenner); ainsi que Trieste, les Comtés de Gorizia et de Gradisca, toute l'Istrie jusqu'à Quarnero et y compris Volosca et les îles istriennes de Cherso, Lussin, de même que les petites îles de Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro di Nembi, Asinello, Gruica et les îlots voisins”.
In traduzione per chi non conosce il francese: “Nel trattato di pace l'Italia otterrà il Trentino, il Tirolo cisalpino con la sua frontiera geografica e naturale (la frontiera del Brennero), e ancora Trieste, le contee di Gorizia e di Gradisca, tutta l'Istria fino a Quarnaro compresa Volosca e le isole istriane di Cherso, Lussino, Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro di Nembi, Asinello, Gruica e gli isolotti vicini”...”.
A parte la genericità descrittiva che talvolta affiora (per esempio: quale la fonte per l'esatta definizione dei confini delle contee di Gorizia e Gradisca? E che dire degli “isolotti vicini”?), sarà utile ricordare che la Venezia Giulia non è nominata, per la buona ragione che non era nominabile: non esisteva su alcuna carta geografica. E non si nomina Fiume!
Il nostro governo si ricorderà di Fiume nel 1919 alla Conferenza di pace di Versailles, ma sarà tardi, e D'Annunzio non riuscirà a rimediare con l'occupazione di Fiume al pasticcio diplomatico del 1915, che la propaganda governativa si incaricherà di etichettare “vittoria mutilata” offrendo così un robusto argomento al montante fascismo.
Ha proprio ragione Mark Thompson quando scrive, nel suo saggio “The White War”, che soltanto l'insipienza diplomatica italiana riuscì a trasformare una grande vittoria militare in una sconfitta sul tavolo della pace.