Popoli sull’orlo di una crisi di nervi, ma i terroristi hanno vinto solo una battaglia, la guerra sarà lunga

A leggere social network, commenti e dibattiti vari sia televisivi che in tavole rotonde “fisiche”, tutto pare chiaro, o almeno lo è nelle parole scritte e parlate di chi, da improvvisato esperto di Islam, indica la propria ricetta. Solo alcuni approfondimenti su  giornali e qualche coraggioso reportage televisivo, dimostrano come carta stampata e buon giornalismo siano ancora vivi. Ma leggendo invece  quello che circola sul web non solo si ha la netta impressione di assistere, in forma digitale, alla solita rissa gridata tipica dei talk show, ma addirittura alla saga della superficialità e dell'ignoranza più perniciosa. Vi sono disarmanti esemplificazioni, così a vedere Facebook sempre di più sono quelli che pensano di fermare i kamikaze a forza di fiori e inni nazionali, non solo la Marsigliese però, ma anche le marcette degli altri Paesi colpiti, dal Libano, alla Russia passando per il Mali. Altri vorrebbero l'annullamento fisico dell'intera Siria, civili compresi, a colpi di bombe e qualcuno si spinge perfino a teorizzare la necessità di un pulizia etnico-religiosa a livello planetario, dimenticandosi che al di là delle dimensioni e dell'abominio del solo pensare a un nuova “soluzione finale”, la ricetta e sovrapponibile alla natura del male, anche se a fronti ribaltati. Ma se le parole dei “social” e dei blog, dimostrano la superficialità di un mezzo che qualcuno ipotizza addirittura sostitutivo di giornali media e perfino dei scuola ed università, dall'altro si sta assistendo alla saga dei presunti esperti di Islam. Nella migliore delle ipotesi si tratta di topi di biblioteca in cerca di notorietà che raccontano quello che non hanno mai visto nella realtà. Persone che non hanno mai avuto rapporti se non da turista low cost con quei paesi. Costoro dettano le proprie ricette, costruite a tavolino e qualche volta inquinate da ideologie striscianti, precedute dalle proprie sentenze. Non basta leggere una quantità di tomi per pensare di conoscere da analista geopolitico il mondo o un pezzetto di questo, l'esperienza diretta è altrettanto importante. Certo c'è chi ha scritto opere letterarie mirabili senza aver mai visto i luoghi dove ambientava le sue storie, basti pensare a Salgari, ma appunto si tratta di opere letterarie, opere di fantasia, non certo lucide fotografie di situazioni complesse. Pensare di indirizzare l'opinione pubblica sul sentito dire o peggio sui luoghi comuni, potrebbe essere devastante quasi quanto le cinture esplosive e determinare scelte individuali e collettive tragicamente sbagliate. Detto questo il motivo di tanto interesse vero un tema non è sempre dettato dalla voglia di apparire o di fare carriera accreditandosi come punto di riferimento, per alcuni c'è una genuina voglia di essere utili, ma temiamo si tratti di una minoranza. Per fortuna la maggior parte di queste persone nelle scelte che contano valgono meno del due di coppe a briscola, anche se possono fare non pochi danni influenzando negativamente l'opinione pubblica ed alimentando il germe della paura.
La prudenza unica strada praticabile
In realtà la situazione che si è venuta a creare dopo gli ultimi attentati Isis, e non parliamo solo di quelli di “prossimità ma dell'escalation globale che il califfato ha voluto imprimere alla propria strategia del terrore, è decisamente poco chiara. Come poco chiare sono le ricette che si possono attuare. Per fortuna chi alla fine tiene in mano i bottoni delle armi pare ne sia consapevole, non solo Obama, ma perfino Putin. Nonostante le apparenti posizioni diverse i due sanno benissimo che ci si muove in uno scenario mai come oggi delicatissimo. Diverso è il caso di Hollande che deve dare delle risposte anche di politica interna al fatto di essere stato messo nel mirino dai terroristi. Oggi a parlare è stato è proprio il presidente Usa che per nostra fortuna è in scadenza di mandato non rinnovabile e che quindi può guardare alla soluzione con relativa serenità: "Distruggeremo l'Is sul campo di battaglia senza rinunciare ai nostri valori, grazie alla nostra coalizione" ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in una conferenza stampa a Kuala Lumpur. "Visto che non riescono a batterci sul campo - ha aggiunto Obama - i terroristi cercano di instillare il terrore ma non riusciranno. Non inizieremo ad avere paura, non inizieremo a discriminare per la religione, dobbiamo rifiutare la loro ideologia, non siamo in guerra contro una religione, l'America non lo è ed è contraria a qualsiasi pregiudizio e qualsiasi discriminazione". Parole sagge accompagnate da una ricetta che anche se non ancora chiarissima sul piano strategico (militarmente pensate di agire solo dall'alto farebbe durare il conflitto decenni) può ritenersi condivisibile: "Strapperemo la terra che hanno rubato, taglieremo i loro mezzi di finanziamento, strapperemo le loro reti, decapiteremo i loro vertici e alla fine li distruggeremo. Tutti faremo la nostra parte. Noi continueremo a guidare la coalizione, stiamo rafforzando la collaborazione con la Francia e altri partner. Difenderemo la dignità di tutti i popoli, di tutte le persone. In questo senso riusciremo a sconfiggerli. Non c'è posto per un'ideologia come quella dell'Is all'interno del nostro mondo - ha concluso Obama - che vuole vivere in pace, in armonia e in sicurezza".
Per quanto riguarda il rapporto con Putin il presidente americano ha ribadito che i russi "devono adattare le loro priorità al momento. Come ho già detto 5 anni fa, la questione con Assad non è solo come tratta la sua gente, non è solo questione di diritti umani, dal punto di vista più pratico non è concepibile che Assad possa riguadagnare legittimità in un Paese in cui la maggior parte della popolazione non lo vuole. La guerra civile non si fermerà se Assad rimane lì dov'è. Si tratta di vedere se possiamo instaurare un progetto di transizione politica che possa riconoscere il diritto di un nuovo governo e portare al cessate il fuoco". Ma gli Usa appaiono da questo punto di vista più malleabili rispetto ad alcune settimane fa, l'America non vuole il caos ha in sostanza aggiunto Obama, e se l'allontanamento di Assad "è inevitabile tutti abbiamo tutti interesse a mantenere uno Stato siriano". Insomma una mano tesa alla Russia che non vedrebbe di buon occhio una destituzione violenta di Assad ma una transizione di poteri certamente si. Ad Obama ha fatto in qualche modo eco il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che sempre dall palcoscenico di Kuala Lumpur ha sollecitato la Russia e gli Stati membri a cooperare per sradicare il terrorismo. "Tutti questi terroristi e ideologia estremiste devono essere sconfitti in nome dell'umanità", ha detto durante l'annuale vertice dell'Asia orientale che si svolge appunto a Kuala Lumpur. "A tal proposito, abbiamo bisogno di unirci. Abbiamo bisogno di mostrare solidarietà globale per affrontare il nemico comune dell'Is-Daesh, di altri estremisti e gruppi terroristici", ha detto puntando il dito contro lo Stato islamico. Certamente occasione di colloqui importanti sarà il vertice internazionale sul clima che si svolgerà a Parigi a fine mese, le questioni “meteorologiche” finiranno quasi certamente in secondo piano, visto che praticamente tutti i capi di Stato e di governo saranno presenti al vertice che si terrà nella capitale francese dal 30 novembre all'11 dicembre. Certo. si discuterà anche di un ambizioso taglio delle emissioni del riscaldamento globale, ma è ovvio che saranno prese decisioni importanti anche relativamente alla lotta contro il terrorismo.

Il dibattito nel mondo musulmano

Se da parte “occidentale” le cose sembrano lentamente chiarirsi sul piano strategico e accordi sono possibili, non solo con la Russia, ma anche con paesi islamici come l'Iran, dall'altra parte è lo stesso mondo musulmano che comincia a muoversi su piano dell'analisi e del dibattito culturale e religioso. Questa potrebbe essere una vera svolta, anche se per ora il dibattito è confinato in documenti ed articoli di giornali di intellettuali arabi, segnali comunque importanti anche se non arrivano ancora al grande pubblico arabo, che riceve invece spesso notizie ed indottrinamento più da Isis che dai propri governi moderati in grande difficoltà mediatica, tanto da far pensare alla necessità di agire proprio sul piano della censura. Ma tornando al “dibattito” colto, è di due giorni fa un articolo Di Daoud Kuttab, un giornalista palestinese che sull'Huffington Post Religion, (rilanciato dall'agenzia Arabpress). Nel pezzo si afferma senza mezzi termini che il mondo arabo ha bisogno di separare la religione dagli affari di Stato e che i fondamentalisti continueranno ad avere sempre la meglio, se si continua a discutere con loro, semplicemente sulla base del testo religioso.
Insomma secondo Daoud Kuttab, nella lotta al flagello del fondamentalismo religioso, una delle strategie proposte da alcuni è quella di utilizzare la religione stessa per combatterlo. I sostenitori di questo approccio, molto presenti anche fra i cittadini occidentali di fede islamica, vanno da quelli che sostengono che Daesh (ISIS) e la sua ideologia, siano semplicemente costruiti su una comprensione distorta della religione, a quelli che sostengono che il modo migliore per combattere il fondamentalismo religioso sia promuovere la moderazione religiosa, per sconfiggere l’ideologia. Entrambe le idee contengono però un problema, dice l'intellettuale palestinese, il fatto è che ogni testo religioso è facilmente suscettibile di interpretazione, il che significa che chiunque può trovare una o più parti di questo testo, per sostenere la sua posizione. È molto facile prendere un testo fuori dal contesto per sostenere un particolare punto di vista. Insomma non sarebbe questa la strada ed anche Yousef Rababaa, professore giordano presso l’Università del Philadelphia, sostiene con forza la sua opposizione contro la volontà di combattere il radicalismo religioso utilizzando proprio la religione. Secondo il professore giordano, il potenziale di discriminazione basato sulla religione è evidenziato, ad esempio, dal caso della Giordania (che nell'immaginario collettivo occidentale è paese moderato Ndr). In Giordania, spiega Rababaa, ognuno è obbligato ad avere una religione dichiarata e tutte le questioni relative allo status personale vengono risolte dai tribunali religiosi, siano essi islamici o cristiani. Cambiare la religione in Giordania, è una strada a senso unico, con i cristiani legalmente autorizzati a convertirsi all’Islam, ma non il contrario. Le donne cristiane sono autorizzate a sposare musulmani, senza la necessità di doversi convertire, ma i loro figli sono considerati musulmani e la moglie (e madre) cristiana non ha diritti di successione se rimane cristiana. Ancora, gli uomini cristiani non possono mantenere la loro religione, se sposano una donna musulmana.
Non ci sono matrimoni secolari o civili in Giordania e proprio la radicalizzazione religiosa e la discriminazione dei cittadini, ha portato Muhanad Azzeh, un parlamentare giordano, spiega il docente giordano presso l’Università del Philadelphia, a suggerire un emendamento costituzionale. Il monarca del regno hascemita di Giordania è discendente diretto del Profeta Muhammad. Non vi è però alcuna contraddizione tra ciò e la necessità della Giordania di scrollarsi di dosso il suo attaccamento a concetti come quello della “religione di Stato”. Le nazioni moderne devono separare le questioni religiose, che sono sacre, non negoziabili e personali, da quelle di Stato, che sono negoziabili e si applicano a tutti i cittadini. I problemi nella regione araba hanno molto a che fare con il fatto che l’Islam abbia avuto origine nella penisola araba e che il Corano sia scritto in arabo, mentre oggi i Paesi musulmani a maggioranza non araba sono molti. I Paesi arabi sono così presi dalla necessità di difendere in qualche modo i principi dell’Islam, insistendo su una religione di Stato e sull’inserimento della religione nella vita di tutti i cittadini. Un modo molto più sano, democratico e progressista di agire, sarebbe quello di separare la religione dagli affari dello stato, senza in alcun modo ridurre la sua importanza. La fede è un rapporto tra l’uomo e Dio. Si tratta di un rapporto molto privato che dovrebbe essere tenuto sacro e protetto. È giunto il momento di dare un nuovo look al ruolo della religione nel governo degli Stati. Se ciò avverrà, sarà un grande passo avanti per l’intero mondo arabo.
Se da un lato è evidente che il dibattito nel mondo arabo c'è e che quindi filosofeggiare sulla natura diabolica dell'Islam come qualcuno in Italia sembra fare è una assoluta stupidaggine, dall'altra parte bisogna operare distinguo importanti fra le varie interpretazioni che vengono fatte di una religione abbracciata da oltre un miliardo e mezzo di persone. Vi è l'interpretazione del califfo, che è aberrante, ma vi sono anche altre interpretazioni non meno violente e che non concepiscono il principio di reciprocità che sarebbe la vera svolta. Tuttavia sarebbe sbagliato non vedere che vi è nell'Islam anche una volontà di modernizzare i propri paesi di cui bisogna tenere conto. Fare di tutti gli islamici dei terroristi o dei nemici, non solo sarebbe un errore strategico, ma violenterebbe in maniera formidabile i nostri valori facendo ripiombare la cristianità nella barbarie, la stessa che secoli fa avevamo superato e che periodicamente purtroppo torna fuori. Non possiamo dimenticare che non mille anni fa, ma meno di un secolo fa, l'occidente ha generato l'olocausto e le bombe di Hiroshima e Nagasaki. Forse varrebbe la pena, al di là del Daesh, iniziare a ragionare in maniera critica guadandoci allo specchio e valutare non solo quanto sono cattivi gli altri, ma quanto contribuiamo ancora oggi, con la rapacità del nostro capitalismo, a mantenere interi popoli nella povertà. E la povertà, religione o meno, provoca risentimento e se c'è l'innesto giusto, come di certi predicatori con o senza abito talare, anche violenza inaudita.

Fabio Folisi