Il futuro dell’informazione sul Web mercoledì in plenaria Ue a Strasburgo. Norma contro lo strapotere dei giganti tech o rischio bavaglio sulla libera circolazione dei contenuti online?

Il 12 settembre prossimo gli europarlamentari sono chiamati a pronunciarsi sull'avvio della cosiddeta riforma del copyright. In sostanza torna alla plenaria di Strasburgo  una direttiva sul diritto d’autore che ha già scatenato una guerra di pressioni lobbistiche a Bruxelles e sulla quale però molti sono i dubbi non tanto sul principio sacrosanto ma su come tecnicamente saranno tutelati i diritti di autori ed editori di contenuti. insomma il quesito è amletico, le norme contro lo strapotere dei giganti tech mettono o no a rischio la libera circolazione dei contenuti online?Una risposta difficile e che trova argomenti validi in ambo le posizioni. L’Eurocamera come è noto aveva respinto a luglio il via libera al mandato negoziale, riaprendo il dibattito e facendo slittare il verdetto alla riunione della settimana prossima. Ma cosa prevede la direttiva sul Digital single market così come è stata proposta dalla Commissione nel 2016, in sostituzione di un testo risalente al 2001.L'intenzione era quella di aggiornare le norme Ue sulla protezione del diritto d’autore nell’era dell’informazione digitale. A grandi linee, l’obiettivo quindi è di assicurare ai produttori di contenuti editoriali, cinematografici e musicali una remunerazione adatta da parte dei «prestatori di servizi di condivisioni online», cioè i colossi del web come Google, Facebook e altre piattaforme che monetizzano l’intermediazione di contenuti generati da terzi. A far discutere sono stati sopratutto gli emendamenti apportati dalla Commissione giuridica agli articoli 11 e 13 del testo originario, contenuti nel testo presentato all’Eurocamera (e bocciato) alla plenaria dello scorso luglio. Ma vediamo nel dettaglio, l’emendamento all’articolo 11 è diventato noto come «link tax», anche se non si parla di tassare i collegamenti ipertestuali l’Ue imporrebbe agli Stati membri di fornire agli editori di «pubblicazioni giornalistiche» diritti che permettano loro di «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l'uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni (le piattaforme già citate sopra, ndr)». Il vincolo non esclude l’utilizzo di quelle stesse pubblicazioni in forma privata e non commerciale, oltre a raccomandare che «gli autori siano sicuri di ricevere un'appropriate del valore aggiunto incassato dagli editori dall'uso delle proprie pubblicazioni».
L’articolo 13, sempre dopo l’emendamento della Commissione giuridica, ha incluso una misura ribattezzata «upload filter» (filtro sugli upload). In breve, le piattaforme online sono chiamate a «siglare contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». In assenza di un accordo, gli stessi fornitori di servizi online devono predisporre «misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori o altri argomenti che infrangano il diritto d'autore o diritti correlati». Quindi, appunto, istituire un “filtro” che vigili sul rispetto del diritto d’autore e intercetti i contenuti che lo violano. Più facile a dirsi che a farsi. Il rischio è che si crei un caos nel web da pregiudicarne il libero utilizzo. Tione abbia varie facce è chiaro anche da l fato che gli schieramenti dei pro e dei contro sono “fluidi” ma ovviamnte per ragioni opposte. Da un lato i portatori di interesse dei grandi del web ma che trovano appoggio anche nei tanti che temono che tutta l'operazione finisca per diventare una colossale operazione di censura. Dall'altra che ritiene fondamentale che il princiio del diritto d'autore sia rispettato e non solo a parole ma anche monetizzato.

Come è noto l’argomento aveva già alzato la temperatura della scorsa plenaria, quando la tradizionale attività di lobbying si era spinta fino alla denuncia di «minacce» e interferenze all’attività parlamentare. Oggi l’atmosfera per il voto del 12 settembre si annuncia anche più tesa, complice la consapevolezza che il sì e no dell’Eurocamera equivarrà a una parola definitiva sul testo. Da un lato ci sono i rappresentanti della cosiddetta industria culturale, dagli editori (oggi è arrivata la lettera congiunta della Federazione italiana editori giornali e dell'Enpa, l'associazione degli editori europei) alla case discografiche, passando per mobilitazioni di massa come Europe for creators: un movimento di sensibilizzazione promosso da Gesac, organizzazione che conta circa 12 milioni di creativi e autori in Europa. Ma anche i giornalisti, a tal proposito la Fnsi ha lanciato un appello agli europarlamentari perchè si pronuncino sull'avvio della riforma del copyright. 'Tale regolamentazione è necessaria, dice Fnsi, per difendere la libera informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati, garantiti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo e dall'art. 21 della Costituzione.”
Sul versante opposto resiste la contrarietà delle piattaforme online, da Google a Facebook a Youtube che temono ritorni negativi sui fatturati (miliardari) della pubblicità online. Le piattaforme hanno lavorato sia in maniera “sotterranea” che palese, è di oggi la discesa in campo di un manager di YouTube Robert Kyncl, Chief Business Officer di YouTube secondo cui "Internet aperto ha eliminato le barriere dei media tradizionali e dato spazio ad una nuova economia creativa, dando la possibilità a chiunque con una idea di condividerla e iniziare un business". "Questo - aggiunge - potrebbe essere a rischio con il voto dell'Europarlamento. Le proposte in campo e in particolare l'articolo 13, minano l'economia creativa, scoraggiando le piattaforme a ospitare contenuti generati dagli utenti".
Insomma una sorta di minaccia neppure tanto velata. In realtà i signori del web dimenticano che sui contenuti “generati dagli utenti” gli unici che ci guadagnano non sono certo i creatori dei contenuti. Vedremo cosa accade mercoledì prossimo. La situazione è infatti molto fluida, infatti ad eccezione del Partito popolare europeo che sembra compatto per il sì, tutti gli altri gruppi parlamentari sono dilaniati da scontri intestini. Una delle forze più in bilico sono i Socialdemocratici, divisi a metà fra gli sponsor di una direttiva considerata «contro lo strapotere dei giganti tech» e chi intravede i rischi di un bavaglio sulla libera circolazione delle informazioni online.