I vasi comunicanti a danno dei contribuenti: abbasso le tasse nazionali e alzo le locali, blocco le locali e aumento le tariffe

Il trucchetto “contabile” di lasciare dei soldi in una tasca per sfilarteli dall'altra è vecchio di almeno vent'anni. Fino al 2005 il trucchetto era quello di abbassre le tasse “nazionali” dando però agli enti locali facoltà di gabella con la scusa del Federalismo fiscale, e con il risultato che nello scambio di competenze alla fine i cittadini sono stai maggiormente tartassati e per di più con un uso dissennato e disinvolto, del denaro a livello locale o regionale. Poi per fermare l'emorragia dal 2015 alle Regioni e agli enti locali viene messo un freno e non possano più aumentare le tasse locali (come l’Imu, la Tasi, le addizionali Irpef, l’addizionale regionale Irap, etc.), ma le cose per le tasche degli italiani le cose non sono migliorate. Anzi, in alcuni casi la situazione è addirittura peggiorata, visto che in questi ultimi 3 anni le tariffe dei servizi pubblici erogati dagli enti locali sono
aumentate del 5,6 per cento, vale a dire oltre 3 volte la crescita dell’inflazione. Ed il timore è che il trucchetto venga potenziato anche sui servizi sanitari. Questi dati emergono chiari dall'indagine del centro studi della Cgia di Mestre: “Con lo stop agli aumenti della tasse locali – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – molti amministratori hanno continuato ad alimentare le proprie entrate agendo sulla leva tariffaria, incrementando le bollette della raccolta dei rifiuti, dell’acqua, le rette degli asili, delle mense e i biglietti del bus. E tutto ciò, senza gravare sul carico fiscale generale, visto che i rincari delle tariffe, a differenza degli aumenti delle tasse locali, non concorrono ad appesantire la nostra pressione fiscale, anche se in modo altrettanto fastidioso contribuiscono ad alleggerire i portafogli di tutti noi”.
I numeri in questo caso non mentono, basta osservarli nella loro completezza. Tra il 2015 e i primi 4 mesi di quest’anno, infatti, le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) sono aumentate dell’88,3 per cento. Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell’acqua, invece, hanno subito un
incremento del 13,9 per cento, quelle della scuola dell’infanzia del 5,1 per cento, le mense scolastiche del 4,5 per cento, il trasporto urbano del 2 per cento e i rifiuti dell’1,7 per cento.
L’inflazione, invece, sempre in questo periodo è salita solo dell’1,7 per cento (vedi Tab. 1). 
“Sebbene da qualche anno ai Comuni siano stati alleggeriti i vincoli di bilancio grazie al superamento del Patto di stabilità interno e abbiano potuto contare su importanti aumenti
tariffari – afferma il segretario della CGIA Renato Mason – le risorse a disposizione dei Sindaci risultano ancora insufficienti per rilanciare gli investimenti e le manutenzioni pubbliche.
Misure, queste ultime, che sono indispensabili per ridare fiato all’economia locale e, conseguentemente, al mondo delle piccole imprese”.
Dalla CGIA segnalano che con molte meno risorse a disposizione a seguito dei tagli ai trasferimenti, i Sindaci e i Governatori, almeno fino al 2015, hanno reagito agendo sulla leva fiscale. Successivamente, come dicevamo più sopra, grazie al blocco delle tasse locali imposto dal Governo Renzi, molti amministratori si sono “difesi” rincarando le tariffe e/o riducendo la qualità e la quantità dei servizi offerti ai cittadini.
E a conferma della bassa qualità dei servizi pubblici offerti dalla nostra pubblica amministrazione ci sono di supporto anche i risultati emersi da un’indagine elaborata l’anno scorso
dall’Ue. Su 23 Paesi analizzati, l’Italia si colloca al 17° posto per livello di qualità della nostra Pubblica amministrazione.
(vedi Tab. 2).
Oltre ai dati medi nazionali, questa indagine consente di verificare anche le performance di ben 206 realtà territoriali. Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non rileviamo nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese. La prima, ovvero la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36° posto della classifica generale. Di seguito troviamo la Provincia
autonoma di Bolzano al 39°, la Valle d’Aosta al 72° e il Friuli Venezia Giulia al 98°.
Pesantissima la situazione che si verifica al Sud: ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°,
la Puglia al 188°, il Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana. Tra le realtà meno virtuose troviamo anche una regione del Centro, vale a dire il Lazio, che si piazza al 184° posto della graduatoria generale.
Anche l’Ocse, nel suo “Rapporto economico sull’Italia” del 2017, evidenzia che il cattivo funzionamento della pubblica amministrazione italiana ha degli effetti molto negativi sulle
performance di chi fa impresa, sugli investimenti e sulla crescita della produttività. L’Ocse, infatti, dimostra che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone con una più efficiente amministrazione pubblica, sottolineando come nel Sud la situazione abbia raggiunto
livelli di criticità molto preoccupanti.
Detto tutto questo la domanda è un sola, il nuovo Governo agirà in continuità con queste pratiche o deciderà di inceppare il perverso meccanismo?