IL GOVERNO BURUNDESE CONTRO LA RESOLUZIONE ONU

Un secco “no” da parte del governo del Burundi alla risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite che autorizza una commissione d’inchiesta sulle violenze commesse nello stato africano guidato da Pierre Nkurunziza.

La risoluzione fa seguito ad un rapporto che denuncia casi di sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, fosse comuni, atti di tortura, tutti crimini compiuti da aprile 2015 fino agosto di quest’anno.

La motivazione del rifiuto è semplice: secondo il regime, i fatti riportati si baserebbero su informazioni fornite da “una sola parte politica” e quindi non troverebbero alcun riscontro.

Le violenze in Burundi sono scoppiate nell’aprile 2015 dopo che il presidente uscente Nkurunziza ha annunciato che si sarebbe ricandidato per un terzo mandato. Si contano finora la morte di più di 900 persone e la fuga dal paese di altre 304 mila.

La corsa per un terzo mandato è un copione spesso messo in scena in Africa. La classe politica fatica ad accettare il ricambio, e quindi a rinunciare ai propri privilegi, o semplicemente manca un degno sostituto. Solo quest’anno, la “sindrome del terzo mandato” ha toccato la Repubblica del Congo che è riuscito a superare l’ostacolo con una riforma costituzionale, approvata attraverso un referendum popolare, e tenendo sotto scacco le tensioni, anche grazie al fatto che il presidente Denis Sassou-Nguesso, da oltre 30 anni al potere, è riuscito a dare stabilità politica al paese. Lo stesso ha fatto il presidente ruandese Paul Kagame che ha vinto il suo terzo mandato. Nella Repubblica Democratica del Congo invece il presidente uscente Joseph Kabila, in scadenza a dicembre, sta rimandato le elezioni e visto che un referendum per la riforma costituzionale sarebbe difficilmente a suo favore, preferisce eliminare gli oppositori e creare caos all’interno del paese con conflitti soprattutto nelle zone di frontiera, forse con l’obiettivo di ricorrere allo stato di emergenza nazionale e quindi rinviare ulteriormente l’appuntamento elettorale.

La situazione del Burundi è molto simile a quanto sta succedente in RDC dove il presidente non è affatto amato dal suo popolo e le elezioni burundesi del luglio 2015 erano l’occasione per liberarsi di un personaggio malvisto.

Al rifiuto della risoluzione ONU, sono seguite diverse importanti prese di posizioni da parte del governo burundese. In primis, l’obiezione alla partecipazione di Francia e Unione Europea alla prossima riunione della commissione sicurezza e pace dell’Unione Africana che tratterà, tra le altre cose, la situazione del paese. È inoltre stato deciso dal consiglio dei ministri l’uscita del Burundi dalla corte penale internazionale (Cpi) che verrà ora approvata dal parlamento attraverso un’apposita legge. Lo ha fatto sapere il vicepresidente Gaston Sindimwo, aggiungendo che le autorità di Bujumbura non sono preoccupate dalla possibilità che la decisione possa portare a un maggiore isolamento internazionale. Per il primo punto, l’UE attraverso il portavoce di Banki-Moon, ha dichiarato di non volere “speculare sull’argomento”.

Il governatore delle province del nord avrebbe inoltre dichiarato la presenza di incursioni ruandesi nel paese. Queste dichiarazioni e prese di posizione, secondo quanto riferito dalle opposizioni, sembrerebbero una tattica per distogliere l’attenzione internazionale dal vero problema del paese che è la posizione di Nkurunziza.

La situazione in Burundi rimane molto tragica e, con questi presupposti, difficilmente gli investigatori ONU potranno recarsi nel paese per aprire un’inchiesta.
Danielle Maion