Gli ultimi neutralisti: Giolitti e don Lozer

Giovanni Giolitti

Giovanni Giolitti

Dopo dieci mesi di neutralità sempre meno equidistante, l'Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915, cioè entro il mese stabilito dal Memorandum di Londra del 26 aprile, ben sapendo ciò che stava accadendo sui campi di battaglia a est e a ovest. C'era già stata la battaglia della Marna in Francia e la battaglia dei Laghi Masuri sul fronte russo-tedesco, delle quali avevano ampiamente riferito i giornali d'informazione, ed erano già noti i danni irreparabili che la guerra stava recando al patrimonio artistico: in Italia fece scandalo, ad esempio, la distruzione della cattedrale di Reims.
Per quanto riguarda la condotta della guerra, dopo le prime fasi di movimento gli eserciti si erano eclissati, per così dire, nelle trincee, che talvolta distavano venti o trenta metri (come si può leggere nel diario di guerra del grande storico francese Marc Bolch), ed erano entrati in azione, nelle pause degli attacchi che producevano migliaia e migliaia di morti, i cosiddetti cecchini.
Lo spettacolo della guerra combattuta, pensiamo noi, oggi, sarebbe dovuto essere dissuasivo, ma così non fu perché in Europa iniziò ad aggirarsi lo spettro della grande Germania, che pareva allora capace di risolvere la guerra a proprio favore in poche mosse del suo Stato maggiore, diventando di fatto padrona dell'Europa; e in Italia si diffuse la certezza che l'Austria mai ci avrebbe dato Trento e Trieste per via diplomatica. Si pensava che, se avesse vinto la guerra, si sarebbe poi scagliata contro di noi per punirci a causa della nostra neutralità.
Queste erano, naturalmente, considerazioni e previsioni di una minoranza capace di un pensiero politico, e non è detto che fossero giuste, ma certo potevano avere qualche fondamento.
C'erano argomenti per contrastarle anche cent'anni fa. Giolitti, ad esempio, era contrario all'intervento e convinto che avremmo potuto ottenere “parecchio” rimanendo alla finestra.
Ma purtroppo di quella minoranza facevano parte il Re, il suo Governo e altri gruppi di potere che disponevano dei mezzi per pilotare o condizionare la stampa, il più incisivo e diffuso persuasore di massa in quel tempo.
E nel suo piccolo era contrario alla guerra anche don Giuseppe Lozer, parroco di Torre di Pordenone, che il I° maggio 1915 scrisse una celebre lettera al Console di Germania a Venezia, e poi inviò a Giolitti telegrammi di solidarietà.
Rileggiamola, quella profetica lettera:
“Il domani è oscuro; quale presidente di questo Segretariato di emigrazione sento il dovere di inviare un rispettoso saluto e un devoto ringraziamento a cotesto spettabile Consolato per l'assistenza prestata a diversi nostri emigranti e per l'appoggio dato a pratiche di questo Ufficio.
Se il ricatto inglese avrà il sopravvento, l'Italia sarà in guerra domani contro gli imperi centrali.
I rimpatriati riferiscono di essere stati offesi, disprezzati nelle stazioni di Germania e Austria; si è rifiutato ad essi perfino il pane.
Vi prego di far inserire sui vostri giornali che il popolo italiano non vuole la guerra. Sono a contatto quotidiano non solo con emigranti ma anche con operai delle industrie e coi contadini: nessuno condivide il pensiero dei giornali guerrafondai. Se domani per nostra sventura si apriranno le ostilità, non si dimentichi che il popolo italiano nella sua stragrande maggioranza ne è contrario e che esse saranno state volute dalla massoneria, dalla stampa prezzolata, da un ministro ebreo inglese, da un governo debole e ambizioso e da un re che non avrà saputo mostrarsi provvido, né previdente, né galantuomo”.

don Giuseppe Lozer

don Giuseppe Lozer

La lettera, intercettata dalla polizia e fotografata, fu pubblicata con grande evidenza il 24 giugno su "Il Popolo d'Italia" di Benito Mussolini sotto il titolo di "Un prete austriacante".
Don Lozer fu tosto arrestato, imprigionato, inquisito, e assolto dalla procura di Venezia il 9 luglio 1915 "per inesistenza di reato".
Nella fase istruttoria quel coraggioso parroco si difese con grande abilità. Disse che prima della dichiarazione di guerra era lecito essere neutralisti; che i telegrammi di solidarietà, da lui inviati a Giolitti, erano stati spediti nella prima settimana di maggio; che se era lecito a trecento parlamentari manifestare la loro solidarietà al
vecchio uomo politico, doveva esser lecito anche a un cittadino qualunque; che la lettera era stata inviata al Console di Germania, con la quale non eravamo ancora in guerra; che quando, il 19 maggio, aveva conosciuto l'orientamento definitivo del governo, aveva detto e scritto, su "L'Amico di Casa", bollettino della parrocchia di Torre, la sua fedeltà alla patria. E per quanto riguardava la violenza del linguaggio e delle accuse contenute nella lettera al console, osservò
che, senza conseguenze per giornalisti e direttori, frasi ben più violente erano apparse su molti giornali nazionali.
Don Lozer potè così tornare a Torre, ma subito furono fatte pressioni sul vescovo di Concordia per il suo allontanamento. Si sistemò allora a Roma e, dopo qualche settimana, fu spedito al confino in Sardegna. Fu infine costretto a indossare la divisa militare.
Passata la guerra dovette subire la persecuzione dei fascisti, a dimostrazione che, in determinate circostanze, non basta essere innocenti rispetto alla legge!
Eppure don Lozer aveva scritto, ma con un secolo di anticipo, ciò che oggi possiamo leggere su un qualunque manuale di storia contemporanea.

Gianfranco Ellero