Gli eredi di Mao in borsa prima il boom, ora crollo

 

Immagino che Mao, a 39 anni dalla morte (1976), si stia rivoltando nella tomba. Con la rivoluzione che nel 1949 diede vita alla Repubblica Popolare fece della Cina uno Stato basato sui contadini, cui in seguito si aggiunse la classe operaia delle industrie. Lui era convinto e sosteneva che il sistema socialista doveva rimpiazzare quello capitalistico.
Invece nel Paese più popolato del Pianeta da alcuni anni gli eredi del 'Grande timoniere' hanno imboccato la strada di un 'nuovo capitalismo rosso' e tutti, ma anche i contadini, sono andati in Borsa.
La più importante, quella di Shanghai, dopo anni di ostracismo ideologico, fu riaperta nel dicembre 1990 e quest'anno ha raggiunto una capitalizzazione totale di 5,5 trilioni di dollari.
Il mercato azionario aveva contagiato, facendole diventare piccoli giocatori di Borsa, anche famiglie di contadini che per secoli avevano vissuto esclusivamente di agricoltura (come voleva Mao).
Ma la storia degli ultimi mesi ha fatto registrare alti e bassi clamorosi: prima c'è stato oltre un anno di 'Toro rosso' scatenato (continui rialzi degli indici fino addirittura a un aumento del 110%), però da metà giugno una serie di sedute terribili con cali giornalieri anche del 7% hanno fatto 'bruciare' come stoppia fino a tremila miliardi di dollari, più del Pil di un Paese come l'Italia o il Brasile. Una bolla che ha messo in crisi anche la Borsa di Tokyo.
La Banca centrale di Pechino è intervenuta con ripetuti tagli dei tassi d'interesse e iniezioni di liquidità, ma gli effetti sono stati deludenti. Ai contadini che avevano lasciato l'aratro e la vanga per la Borsa non resta che resistere. Tutto sommato, nonostante le perdite dell'ultimo periodo, l'indice ha pur sempre guadagnato oltre il 20% dall'inizio dell'anno. I giornali parlano però di famiglie spaccate e rose dal dubbio: vendere o tener duro?

Augusto Dell’Angelo
Augusto.dell@alice.it