Foibe e propaganda revisionista con contributi pubblici

Il 10 Febbraio in tutta Italia si celebra il Giorno del ricordo dei cinquemila italiani massacrati in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945, uccisi dai partigiani comunisti di Tito solo perché erano italiani: una "pulizia" politica ed etnica in piena regola, che costrinse all'esodo 350 mila italiani che fuggirono, in un clima di terrore, lasciando case e beni. La rappresaglia, iniziata all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 fu diabolica: le stragi avvennero quando si scatenò l'offensiva dei partigiani comunisti contro nazisti e fascisti e furono colpiti indiscriminatamente tutti gli italiani. Nelle cavità carsiche chiamate foibe, tanti vennero gettati ancora vivi, l'uno legato all'altro col fil di ferro, uomini, donne, anziani e bambini che in quel periodo di grande confusione bellica si erano ritrovati in balìa dei partigiani comunisti jugoslavi. L'Italia ha impiegato decenni per riconoscere ufficialmente questi crimini: fu appena nel 2004 che la legge n° 92 del 30 Marzo riconobbe la solennità della “Giornata del ricordo”, dando degna, seppur tardiva, solennità a questa data scelta a commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Venne scelto il 10 Febbraio perché in quel giorno del 1947 entrò in vigore il trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, parte delle zone di Gorizia e di Trieste, passarono alla Jugoslavia. Il massacro più vasto fu messo in atto a guerra finita, nel maggio del 1945: secondo le fonti più accreditate le vittime furono almeno 5000, ma diversi storici parlano di diecimila e più. Ma il Giorno del Ricordo, istituito “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, è stato da subito macchiato da una surreale guerra dei numeri: infatti, sebbene la tragedia sia evidente a tutti, la partigianeria di taluni ha travalicato i limiti della decenza. È del 1997 una pubblicazione, dal titolo “Operazione foibe a Trieste”, in cui l'autrice, la pubblicista Claudia Cernigoi, tenta di dimostrare “come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”. Il testo è reperibile su internet, dal sito web del CNJ, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus, di Roma: la presa di posizione di questa onlus è limpida, già nella home page dove viene evidenziato un convegno dal titolo: “E ALLORA... LE FOIBE ?! Revisionismo di Stato e bombardamento mediatico”. Il primo nome dei partecipanti è, ovviamente, quello di Claudia Cernigoi, “giornalista e ricercatrice storica. Per comprendere il tono del libro di Cernigoi edito da Edizioni Kappa Vu, basta leggerne l'incipit introduttivo: “È da ormai cinquant'anni che l'immaginario reazionario si trastulla con il discorso del 'genocidio' delle foibe, ma negli ultimi due anni il problema ha assunto rilevanza nazionale dopo la campagna stampa attivata intorno all'inchiesta sulle foibe condotta dal Pubblico Ministero di Roma Pititto e, più recentemente dall'estate del '96, dopo gli interventi non solo locali ma anche a livello nazionale dei vertici del P.D.S. che, in una malintesa logica di “pacificazione”, hanno raccolto gli inviti delle destre revisioniste che chiedevano, dopo il processo Priebke, anche «giustizia per i crimini delle foibe»”. “ L'immaginario reazionario si trastulla con il discorso del 'genocidio' delle foibe”: è scritto proprio così. Cernigoi nega che si sia trattato di genocidio, ossia di crimini violenti commessi contro un gruppo etnico, in questo caso gli Italiani dei confini orientali. Il libro in questione segue le premesse: sostiene sino all'ultima pagina che gli jugoslavi di Tito avrebbero esclusivamente perseguitato i fascisti e che gli infoibati ammonterebbero a poche unità. Con tono saccente, queste 150 pagine predicano che: nell’attuale provincia di Trieste non sarebbero stati recuperati più di una quarantina di infoibati; come ci sarebbero stati in totale “solo’’ 517 deceduti in seguito agli arresti ordinati dalle Autorità popolari slavocomuniste che amministravano in città; come comunque molti degli scomparsi sarebbero morti per malattia e come, in ogni caso, essi fossero persone con gravi responsabilità individuali; i diciotto infoibati dell’abisso Plutone, ad esempio, sarebbero stati “dei criminali di guerra’’; i tre infoibati a Rupingrande avrebbero “rubato generi alimentari ad Opicina’’; tra gli infoibati di Gropada vi sarebbero due “borsaneristi’’. E così via, sino all'affermazione che Reparti della Guardia di Finanza furono deportati ed infoibati perché avrebbero compiuto “diverse azioni di rastrellamento sia contro gruppi partigiani che contro la popolazione civile’’. Insomma: Cernigoi detiene la verità e pretende di smascherare i mistificatori... Vi è un altro libro che ribalta totalmente la tesi cernigoiana: si chiama giustappunto “Contro Operazione Foibe” di Giorgio Rustia, scaricabile da numerosi siti, quello della Lega Nazionale in primis (www.leganazionale.it). L'autore, con lavoro certosino, smonta totalmente la filosofia di Cernigoi, non con teorie ma partendo da numerosi articoli dei giornali dell'epoca che, punto dopo punto, fanno crollare le congetture dell'autrice: la 'conta' degli infoibati è spietata ma, a questo punto, necessaria per confermare i terribili numeri che la Giornata del ricordo vuole imprimere nella memoria collettiva. Queste le tristi e macabre conclusioni: I dati del Registro Grotte, notizie dalla letteratura ed altre risultanze indicano che l’uso degli abissi come cimiteri di massa fu molto diffuso nel periodo 1941-1945. Secondo i dati del Registro Grotte resti umani furono trovati in 71 (settantuno) abissi, il numero totale delle vittime non può essere accertato e ci sono 15 (quindici) abissi nei quali fu gettato dentro un mucchio di persone. Da valutazioni fatte su memoriali che si trovano nella pubblicistica le persone gettate negli abissi sarebbero più di diecimila, ma non vi è alcun dato ufficiale.

Né il numero esatto né la nazionalità delle vittime (Serbi, Croati, Albanesi e Italiani) potranno mai essere determinati. Benché questo fenomeno sia diffuso su tutto il Carso Sloveno, ci sono delle proprietà comuni in esso. In base al numero di vittime ed in particolare considerando interventi e tracce su come “la sepoltura’’ fu eseguita, gli abissicimiteri di massa possono essere distinti in due tipi.
Gli abissi dove ci sono ossa di alcune persone soltanto, che vi furono gettate dentro vestite, probabilmente divennero delle tombe durante i combattimenti della guerriglia e della rivoluzione o, dopo la guerra, per vendette personali. In questi abissi non si distinguono tracce posteriori e le ossa umane sono trovate in superficie o sono ricoperte dai processi naturali. Detti abissi sono di solito poco conosciuti e si trovano in foreste appartate.
Il secondo tipo di abissi è luogo di esecuzioni di massa. Vi sono solitamente ritrovati i resti di un grande numero di persone. Le esecuzioni furono organizzate e cessarono dopo molto tempo, e per questo motivo non fu possibile tenerle segrete. Il mascheramento delle tracce, facendo esplodere l’entrata o riempiendo l’abisso, avvenne talvolta anche dieci anni dopo la fine della guerra. Alcuni abissi che sono conosciuti come cimiteri di massa, diventarono negli ultimi tempi i posti visitati dai congiunti delle persone che scomparvero durante la guerra”. 

Due libri a confronto, scritti da due autori che non sono storici (anche se Cernigoi tende a farsi passare per tale), che giungono a conclusioni diametralmente opposte: per Cernigoi non vi fu genocidio e gli infoibati furono 'solo' cinquecento; per Rustia (per i giornali dell'epoca e per lo Stato Italiano), gli infoibati furono migliaia. A chi credere?
Un'interrogazione presentata l'anno passato da Rodolfo Ziberna, consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia, alla presidente Debora Serracchiani, introduce un ulteriore dubbio sulle tesi avanzate da Cernigoi.
Il titolo del documento è: “
Cessare ogni contributo finanziario della Regione a chi nega l’esistenza delle foibe, come disciplinato dall’art. 414 del Codice penale, e tra queste anche alle signore Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan”.
Ziberna, quindi, denuncia che il n
egazionismo delle Foibe sia finanziato dalla regione FVG, chiedendo alla presidente: se direttamente o indirettamente le signore Cernigoi e Kersevan percepiscano contributi da parte della Regione, o se ne percepiscano soggetti privati (case editrici, associazioni culturali, ecc.) di cui esse fanno parte a diverso titolo ed a quanto ammontano dette eventuali contribuzioni; se ritenga che con dette risorse la Regione, contribuendo direttamente o indirettamente a promuovere le tesi negazioniste, le sostenga nell’eventuale consumazione del reato di cui all’art. 414 o comunque nel diffondere tesi destinate ad alimentare ingiustificato dolore e sofferenza, foriero di odii e rancori; se condivida la necessità di sospendere ogni contributo finanziario e di qualsiasi altra natura a beneficio di soggetti pubblici e privati che direttamente o indirettamente concorrano – perché pubblicano loro opere o perché le invitano a svolgere conferenze – nel diffondere azioni volte a configurare il reato di cui all’art. 414, anche attraverso la negazione delle foibe. L'interrogazione, spiega Ziberna, nasce da una nuova (<<e non sarà certamente l’ultima>>) provocazione delle signore Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan, le quali hanno partecipato, nel Febbraio 2014, presso la Libreria Editrice Goriziana, alla presentazione del libro di Giuseppina Mellace “Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe», mediata dal responsabile della redazione goriziana de Il Piccolo, Roberto Covaz. Qui sarebbe avvenuto il “fattaccio”: “E' intervenuta la signora Claudia Cernigoi, che per Kappa Vu ha pubblicato diverse ricerche dalle quali ella evince, citando fonti e archivi consultati, che le foibe sono sostanzialmente un’invenzione e gli unici corpi ritrovati appartenevano a soldati. Secondo Cernigoi è un’invenzione anche la foiba di Basovizza che dal 1992, per decreto del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro è monumento di interesse nazionale. A dar man forte a Cernigoi è intervenuta anche Alessandra Kersevan, autrice e coordinatrice della casa editrice Kappa Vu. Cernigoi e Kersevan hanno sostanzialmente negato quanto proposto dalla maggioranza degli storici, ovvero che le foibe sono state un micidiale strumento di pulizia etnica dei partigiani jugoslavi. Sono riuscite perfino a smentire che la strage di Vergarolla a Pola sia stata opera della polizia segreta jugoslava.”

Spiace constatare che, ad un anno di distanza, la presidente Serracchiani non abbia risposto all'interrogazione di Ziberna.
Ma la stessa presidente, in occasione delle celebrazioni del Giorno del ricordo del 2015, ha detto di sentire “con particolare intensità il dovere di essere presente a Basovizza a commemorare e onorare le vittime delle foibe, stando vicino anche fisicamente ai familiari e agli esuli, in un luogo tragicamente simbolico. La Regione assolverà sempre a quanto prescritto dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, essendo eticamente partecipe dei principi di giustizia che ne sono alla base". 

Tommaso Botto