F-35 italiani in azione di “deterrenza” Nato contro jet russi nei cieli d’Islanda. E’ questo il nostro interesse nazionale?

Mentre per il Pentagono è un nuovo smacco per il controverso e costoso supercaccia F-35 della Lockheed Martin con tutti i 97 esemplari della flotta Usa costretti a terrà, i medesimi velivoli italiani non solo volano ma ingaggiano scaramucce con jet russi e il tutto nel silenzio generale. Ma andiamo per ordine, il Pentagono ha deciso di sospendere tutti i voli, di test o addestramento degli F-35 , dopo che il 23 giugno scorso il motore di un F-35A della U.S. Air Force ha preso fuoco mentre il velivolo era in fase di decollo dalla base di Eglin, in Florida. La manovra è stata abortita, le fiamme sono state spente dai servizi d’emergenza e il pilota non è rimasto ferito. Ma non era un semplice incidente dato che “sulla base dei risultati iniziali dell’incidente sulla pista di decollo”, l’Air Force e la Navy “hanno dato direttive affinche’ gli F-35 rimangano a terra”. Lo si è saputo direttamente da un comunicato piuttosto stitico del Dipartimento della Difesa. Nella nota si aggiunge che “la causa dell’incidente e’ ancora sotto investigazione” e anche che “sono state ordinate ulteriori ispezioni ai motore degli F-35 e la ripresa dei voli verrà stabilita sulla base dei risultati delle ispezioni e delle analisi”. Per il Pentagono si tratta di un’ennesima battuta d’arresto particolarmente sgradita, poiché sin dall’avvio del programma, lo sviluppo dell’F-35 e’ stato segnato da una serie di anomalie, imprevisti, aumento dei costi e polemiche, sia negli Usa che negli altri Paesi che hanno deciso di hanno deciso di contribuire alla produzione, tra cui l’Italia.
Italia che ha in servizio alcuni esemplari, se i dei quali sotto comando Nato sono impegnati sui cieli del Nord Europa con il compito di «polizia aerea», ossia proteggere i confini degli stati dell’Alleanza Atlantica, protezione che si è “concretizzata” in un intervento dopo che aerei russi erano sconfinati sui cieli o in Islanda. Controllare i cieli, fare da «polizia aerea», air policing come in gergo si dice soprattutto in inglese, significa eseguire controlli ed essere pronti a decolli improvvisi. Scopo, proteggere il traffico aereo e la sicurezza di territori da minacce provenienti dall’aria: incursioni, sconfinamenti dovuti alle ragioni più varie, terrorismo. Insomma mentre negli Usa restano a terra e in Italia sono oggetto di ricorrente discussione politica, all’estero gli aerei caccia da combattimento F-35 incontrano il battesimo del volo in odore di assetto da combattimento. Quello che è accaduto è che la mattina del 3 luglio scorso alcuni dei sei F-35 dell’Aeronautica italiana schierati in Islanda sono stati impegnati nel «convincere», aerei russi che avevano sconfinato a uscire dalle parti di cielo controllate dall’Alleanza Atlantica. Tutto è cominciato su acque internazionali tra Norvegia, Islanda e Gran Bretagna. «Velivoli da combattimento russi Mig-31, aerei Tu-142 Bear F, Tu-142 Bear J per la ricognizione e il controllo marittimo e aerei Il-78 Midas per il rifornimento in volo, dicono fonti della difesa, non rispettavano le regole dell’aviazione internazionale: nessun uso di transponder, nessun piano di volo e nessun contatto con il controllo civile del traffico aereo», almeno quanto riferito da un ufficiale della Nato. Con jet norvegesi e britannici, gli F-35 italiani li hanno dissuasi dal continuare e li hanno accompagnati verso l’esterno dell’area di propria competenza.
In sostanza senza che i grandi media nazionali dicessero nulla, non considerando evidentemente la notizia degna di rilievo, impegnati come sono nelle vicende balneari di maggioranza e opposizioni, aerei da combattimento tricolori gonfiavano i muscoli nel nome di una alleanza atlantica ormai anacronistica e decisamente poco economica. Basti pensare che con e per la Nato l’Italia contribuisce alla sicurezza dei cieli in Albania, Montenegro, Slovenia e lo ha fatto in Bulgaria, Romania, nei Paesi Baltici e altrove. Può essere naturale domandarsi: se questi sono Stati dei quali è forse, molto forse, comprensibile occuparsi, considerate le vicinanze al nostro Paese e a minacce che potrebbero venire dal Mediterraneo o da Est, che c’entra l’Islanda? La risposta è semplice, la Nato lavora non tanto in funzione di difesa, ma di servizio alle logiche di politica internazionale Usa che non sempre coincidono con gli interessi del nostro paese. Nessuno però osa dirlo.

FF