Dramma di Aleppo e Mosul due città simbolo di un’unica tragedia

Non solo la questione drammatica di Aleppo nella polveriera siriana anche se nelle ultime settimane la battaglia per il controllo di quella città nel nord della Siria, si è intensificata molto. L’esercito del regime siriano di Bashar al Assad, con il sostegno di migliaia di combattenti sciiti locali e stranieri e con l’aiuto dei devastanti bombardamenti russi, ha ottenuto vittorie significative sia contro l’ampio fronte dei ribelli sia contro i miliziani dello Stato Islamico (o ISIS). La battaglia per il controllo della città di Aleppo, e più in generale per il controllo della provincia in cui si trova Aleppo, è una delle più importanti della guerra in Siria: coinvolge molte fazioni di ribelli che combattono il regime di Assad, oltre che gli stati che appoggiano l’una o l’altra parte.
La battaglia di Aleppo permette di capire alcune cose importanti della guerra in Siria. Per esempio mostra che l’esercito di Assad combatte “di più” i ribelli di quanto non combatta l’ISIS, ma che da diverso tempo ha cominciato anche a ottenere vittorie militari contro lo Stato Islamico; che molte fazioni di ribelli – quando serve – fanno alleanze con il Fronte al Nusra, il gruppo che rappresenta al Qaida in Siria; che per Assad si sta rivelando fondamentale l’aiuto sia degli iraniani che dei russi; e che il coinvolgimento di stati stranieri è diventato sempre più rilevante per decidere le sorti della guerra in Siria. IMportante è anche capire quanto avviene in caso di un altro degli attori fondamentali nell’area, infatti dopo il prolungamento dello stato d’emergenza, il presidente Recep Tayyip Erdogan in questi giorni torna a far discutere per le sue esternazioni inerenti al conflitto anche in Iraq. Il “sultano”, lunedì scorso, ha fatto capire quale sarebbe la sua strategia in seguito alla liberazione di Mosul dall’Isis. In sostanza, ha auspicato solo la presenza di “arabi sunniti, curdi sunniti, turkmeni” nella città. Immediata è arrivata la reazione di Baghdad che ha convocato l’ambasciatore turco. E, sua volta, ha fatto lo stesso Ankara con quello iracheno.
Il Parlamento dell’Iraq ha convocato una riunione straordinaria, nella quale ha attaccato il presidente turco. I rappresentanti iracheni hanno chiesto ad Ankara “l’immediato ritiro delle truppe” turche nel Nord del Paese, nei pressi di Mosul. E questa richiesta ha incassato l’appoggio della comunità sciita, che costituisce oltre il 60% del totale della popolazione.
Quale partita stia giocando in Medio Oriente Erdogan è ormai sempre più chiara, visto che ha dispiegato forze turche sia in Iraq sia in Siria. Per quanto concerne il primo teatro di guerra, facendo leva su un’alleanza con il presidente del Kurdistan, Massoud Barzani, il suo obiettivo è quello di controllare Mosul. Dall’altra parte del confine, invece, ha scatenato un’offensiva contro curdi del Pkk e dello Ypg: l’intento è quello di controllare una parte del Nord Paese quando il conflitto sarà terminato.
Ma l’arroganza di Erdogan può portare a conseguenze impreviste. A dirlo, senza troppi giri di parole, è stato Haider al-Abadi. Il premier iracheno ha fatto sapere che la presenza delle truppe turche in Iraq “può innescare una guerra regionale”.
Intanto, la liberazione di Mosul dall’Isis si allontana. Gli islamisti stanno beneficiando in Iraq, così come in Siria, delle forti divisioni tra le nazioni che dovrebbero spingere per l’assalto finale alle ultime roccaforti dei jihadisti. Insomma come spesso accade fra i due litiganti il terzo gode.