“Debora 2009” in tanti ti volevano bene, ma oggi… rischi di essere solo “Serracchiani

Piccole storie fra la seconda e il ritorno alla prima Repubblica 

Sono passati solo sei anni dall'intervento nell'assemblea dei circoli del Pd che lanciò Debora Serracchiani nel firmamento della politica italiana, un discorso che conquistò la platea dei democratici prima ed il web poi. Solo sei anni, eppure sembra un'era geologica. Da quel momento per Debora, che mi confidò nel corso di un'intervista d'aver avuto “un gran culo” nel dire al momento giusto le cose giuste, la strada è stata in discesa. Oggi è una donna politica di successo, non solo governatrice della Regione Fgv, ma vice segretaria nazionale del Pd. Una componente del triunvirato Renzi, Guerini e, appunto, Serracchiani. Ma riprendendo quel discorso che conquistò la base Pd e diede la possibilità, attraverso lei, all'allora segretario Franceschini di ricongiungere la nomenclatura democratica agli iscritti, appaiano molte contraddizioni fra la Debora di ieri e la Serracchiani di oggi. Insomma: pur con le dovute cautele e interessante valutare quanto di quella sorta di manifesto politico della “enfant terrible” del 2009, oggi giunta nella plancia di comando del più grande partito italiano, si è concretizzato e quanto, invece, risulta contraddittorio. In parole povere, come dovrebbe fare ogni testata nei confronti del potere, facciamo “le pulci alla Serracchiani”, così come intendiamo farle a tutti i politici di ogni schieramento. Iniziamo col dire che gli avversari politici di Serracchiani, almeno quelli su scala regionale, viaggiano ormai una spanna sotto Debora e per proprio demerito, alcuni sono demotivati dalla situazione dei loro partiti o da quello che ne rimane, altri basta aprano bocca per screditarsi da soli, mentre in alcuni casi uniscono la furbizia a presunta delinquenza e le pulci dovrebbero fargliele direttamente le Procure. Ma torniamo alla Debora il cui intervento del 23 marzo 2009 non era e non poteva essere di certo omni comprensivo, ma alcuni spunti di ragionamento sono certamente possibili. Partiamo proprio dalla prima frase del suo applauditissimo discorso (sicuramente più di quello del Presidente Mattarella alle Camere, in occasione del suo insediamento).

Diceva Debora, con la freschezza e la franchezza di chi arrivò su quel palco quasi a sua insaputa: «Ho ascoltato con molta attenzione tutti gli interventi e sono arrivata a due conclusioni; la prima è che siamo votati alla sofferenza, perché in questo posto fa freddo e ci si sta anche male. La seconda è che c’è molto ottimismo…io vengo da una città lontana, la città di Udine, che per darvi delle coordinate sportive è la città dell’Udinese e della Snaidero ed è stata, permettetemi di ricordarlo, la città che ha accolto Eluana Englaro».

Due elementi, il primo ambientale, ma era una metafora , a quel tempo come oggi il Pd è votato alla sofferenza, ma la medicina che il renzismo di cui Debora è oggi fra le più convinte sostenitrici, non era certo quello che Serracchiani 2009 pensava. Lei avrebbe voluto un partito franco nelle discussioni, capace di arrivare a una sintesi partecipativa, oggi invece è un partito diviso in correnti che si regge sulla machiavellica gestione del suo abile segretario, e che ha emarginato i dissensi giocando la sua scommessa di democrazia interna sulle comparsate in una direzione nazionale che somiglia sempre di più al Parlamento italiano: un'aula dove si discute nella consapevolezza che i giochi sono fatti altrove e le decisioni già prese. Non crediamo che il superamento del masochismo di cui parlava Debora nel 2009 fosse questo, lei la contraddizione l'ha risolta, basta stare con chi le decisioni le prende prima e il problema è risolto. L'altro riferimento, quello alla città di Udine, l'ha risolto ancora prima, accettando la candidatura alle europee. Un premio che era anche un modo per disattivarne la carica anti-nomenclatura, dell'epoca ovviamente, ma ha avuto anche l'effetto di allontanarla dalla città che le aveva dato i natali politici. Una lontananza che è proseguita e prosegue anche oggi che da governatrice del Fvg sembra essersi dimenticata della sua città. O almeno questo gli rimproverano, forse a torto, e solo nei corridoi e nelle osterie, parte degli stessi militanti Pd che, sotto sotto, hanno apprezzato il nomignolo di “zarina” appioppatole dal suo avversario alla corsa per la presidenza regionale, Renzo Tondo; lo stesso che oggi pare approdato alla corte di Corrado Passera, un movimento appena nato che qualcuno già pensa possa diventare prossima preda delle mire espansionistiche del Pd renziano, come è stato per Scelta Civica. Già, Renzo Tondo, sul quale servirebbe ben più di un passaggio per spiegarne il fallimento come governatore, fallimento sancito proprio con la sconfitta subita per mano della Serracchiani. Tondo ha pagato nello scontro diretto del 2013 non solo il logoramento della sua precedente azione di governo, ma soprattutto il fatto di essere apparso succube delle scelte fatte da altri su temi fondamentali per il futuro del Fvg; altri di cui, paradossalmente, lui stesso si era attorniato. Ma torniamo al 2009, la giovane “enfant prodige” si rivolge direttamente all'allora segretario nazionale Franceschini con una critica pungente alla sua scarsa “fermezza”, che oggi evidentemente viene appagata dalla fermezza guascona di Matteo Renzi, ma soprattutto con una critica feroce alla leadership del partito.

«Io mi permetto, anche per non essere ripetitiva, di dire al mio segretario alcune cose che secondo me forse lui avrebbe dovuto e deve sottolineare con maggiore fermezza. Dicevo al segretario che mi permetto di dire alcune cose che desidero sottolineare perché credo che vadano sottolineate con maggiore fermezza e che questa mattina questa fermezza credo non ci sia stata fino in fondo. Io credo che il problema di questo partito non sia stato Walter Veltroni, io credo che sia mancata la leadership intesa come il mezzo per una linea politica di sintesi, una linea politica che pur nella più ampia discussione nella più approfondita mediazione che è necessaria in un partito grande come il nostro però, alla fine, deve arrivare alla sintesi e la sintesi è mancata».

E qui ci siamo, oggi di sintesi nel Pd c'è ne forse troppa, una sintesi che mortifica a colpi di maggioranza ogni pensiero diverso da quello del leader Matteo Renzi e del suo cerchio magico quasi tutto al femminile. Anche in questo caso l'obiettivo dichiarato dalla Serracchiani è stato raggiunto, oggi la sintesi c'è, eccome, ma abbiamo il sospetto che quello che pensava la Debora del 2009 non fosse esattamente quello che si è concretizzato.

Questo concetto viene rafforzato dalla dichiarazione seguente di Debora: «io chiedo al segretario di dirci convintamente che questo cambiamento che noi abbiamo avvertito da quando ha dato le dimissioni Walter Veltroni non è la paura perché abbiamo toccato il fondo ma è una strategia, abbiamo cambiato strategia, abbiamo una linea politica di sintesi, questo io chiedo al mio segretario. Questo chiedo, perché siamo apparsi come un partito lontano dalla realtà, dalle cose reali, non siamo stati capaci ciascuno di parlare oltre il proprio elettorato. Mai una parola chiara, mai una linea netta e soprattutto mai una linea unica».

Oggi il problema è come abbiamo visto superato, il Pd ha una linea politica “unica” imposta da un pensiero unico, ma ha vinto le elezioni e i sondaggi sono tutti favorevoli. Il Pd è riuscito a parlare al proprio elettorato ma, soprattutto, a quello di altri; ha cambiato pelle, ha vinto le elezioni ma è diventato un oggetto diverso da quello che era stato teorizzato dal tempo dei Ds e poi con la Margherita dell'Ulivo. Insomma: ha perso gran parte della sua forza propulsiva a sinistra per dedicarsi alla conquista dell'intera area di centro, facendo più di un occhiolino a destra e soprattutto ai poteri forti che di quell'area sono i portatori. Un male? Un bene? Qui il dibattito è aperto quanto strisciante. Se l'obiettivo è il potere certamente la ricetta è quella giusta, il dubbio viene però nella fase successiva: cosa ci faccio con questo potere? In che verso cambio la società? Quali sono i miei reali ideali di riferimento? Domande alle quali la politica renziana sembra aver dato una risposta che non crediamo, nonostante lei si sia lasciata lusingare, fosse esattamente quella della Debora del discorso 2009. Anche il passaggio successivo della Serracchiani, attualizzandolo, non è del tutto coerente con quanto si sta realizzando nel Paese. Nel 2009 il problema per i democratici sembrava essere la presenza di “Italia dei Valori” che si faceva portatore delle politiche di moralizzazione della “casta”, oggi sappiamo com'è andata per Di Pietro e la sua combriccola, ma sappiamo anche che si è affacciato un soggetto anti-casta pigliatutto, il Movimento 5 stelle. Sostituendo Di Pietro con Grillo nel discorso di Serracchiani 2009, il concetto non cambia. Diceva infatti la più giovane:

«E' per questo motivo che i nostri elettori, io dico per disperazione e per assenza di alternativa, hanno votato e votano Di Pietro che è a capo di un partito fai da te, personale e personalista, che con il centro sinistra non ha nulla a che vedere e il problema non è stato quello di averlo scelto come nostro alleato, ma è stato quello di avergli fatto fare da solo l’opposizione su temi che ci appartengono, come il conflitto di interessi e la questione morale. Io l’ho detto più volte a Udine: la differenza tra noi e l’Italia dei Valori sta nel fatto che noi parliamo in tanti e iniziamo sempre i nostri discorsi con “Io”, loro aprono i discorsi solo in due modi: “Berlusconi ha detto”, “L’Italia dei Valori dice”. La differenza è enorme si vede!».

Ribadendo la premessa Di Pietro alias Grillo bisogna dire che il tema resta attuale, il Pd renziano ha assunto la questione morale, ma al di là di qualche più o meno timida riduzione di anacronistici privilegi di casta alcune problematiche sono state solo sfiorate o quasi. Oggi inoltre si utilizza l'anti-corruzione e la questione morale, come merce di scambio o, peggio, si brandiscono come minaccia verso Berlusconi per calmarne alcune derive. Le vicende sul patto del Nazzareno e dintorni sono infatti un capolavoro di spregiudicatezza politica; con un Renzi abile come Richelieu e una minoranza nel Pd, i civativani ad esempio, che non è escluso facciano la fine dei dotti Ugonotti ai tempi di re Luigi XIII di Francia. 

Ma proseguiamo nella nostra attualizzazione del Serracchiani pensiero, sempre nel 2009: «La diversità è la ricchezza del nostro partito, ma io chiedo al nostro partito di imparare a votare, di imparare ad assumere decisioni, se è necessario anche solo a maggioranza, se è necessario anche lasciando a casa qualcuno. Io dico che dobbiamo imparare a parlare unitariamente da Pd, è giusto il dissenso, è giusta la scelta di coscienza, ma la libertà di coscienza non deve essere il paravento dietro il quale nascondersi quando non siamo uniti. E dobbiamo smetterla di pensare che il nostro problema sia soltanto come comunichiamo ai giornali perché non è così, ci mettiamo molto del nostro»

Questo è forse il passaggio più attuale e coerente fra le due Serracchiani, la primipara politica attempata del 2009 e la Zarina di oggi. Già allora il pensiero era una riedizione in chiave autoritaria del centralismo democratico di marxiana memoria, attualizzato da un democristiano come Renzi è diventato quello che oggi è il dibattito nel Pd. Un semplice esercizio dialettico che viene poi pressato nella morsa delle decisioni prese dal gabinetto del segretario-premier. Forse non era proprio quello che la Debora 2009 voleva, ma come è noto il fine giustifica i mezzi e la democrazia diventa optional anche se ti chiami “democratico”.

E che la Debora del 2009 fosse in assoluta buona fede lo dimostra l'esempio scelto per rafforzare la sua tesi sulla necessità della sintesi nella posizioni del partito, dice Serracchiani: «Faccio un esempio su un argomento come quello del testamento biologico: è giusta la libertà di coscienza, ma quando c’è una posizione prevalente all’interno del partito democratico questa deve avere il giusto riconoscimento, perchè altrimenti si finisce con il parlare solo della posizione di dissenso e non di tutte le altre, si finisce con il guardare l’astensione e non la compattezza del gruppo, quindi trovo, segretario glielo dico veramente con grande semplicità, trovo che sia un errore assoluto quello di aver indicato come capogruppo alla commissione sanità del senato chi non è portatore della posizione prevalente. Lo dico! No, siccome… scusate… siccome ne ho una per tutti, dico anche che non si può decidere di dialogare con un partito … all’opposizione, alla vigilia della presentazione degli emendamenti al DDL Calabrò, frutto di un’ulteriore mediazione come sono stati definiti, che hanno il plauso entusiasta di quel leader e il giorno dopo pensare che non ci siano illazioni sul giornale: è assurdo!!! È folle!!!».

Il tema scelto per l'esempio era ovviamente un tema sui “valori” che il Pd anche oggi non ha completamente risolto, ma è invece interessante il riferimento alla stampa e a una concezione che cozza con l'uso, spesso strumentale, fatto da Serraccchini nei rapporti con giornali e tv: accusati d'essere fuorvianti quando il pensiero giornalistico non coincide con quello “governativo”, sia nazionalmente che regionalmente. Ma questo è un male comune all'intera classe politica italiana ed il virus era impossibile non contagiasse anche la nostra Debora.

Ma è nell'affondo finale che ci sono, purtroppo, le maggiori contraddizioni fra la Debora di “opposizione” e quella di “governo” . Dice Serracchiani 2009: «La verità è che, in questi pochi mesi di vita del partito democratico, almeno io ho avuto la netta impressione che l’appartenenza al nuovo partito fosse sentita molto di più dalla base che dai dirigenti. Noi dobbiamo superare i protagonisti e i personalismi ed avere una nostra politica che sia nuova e se necessario rinnovata. Abbiamo bisogno di una nuova generazione politica che non è solo una questione anagrafica ma è una questione di mentalità una mentalità che non sia ancorata alla difesa dell’identità ma votata alla costruzione convinta del partito democratico. Una mentalità che è difficile riscontrare, io lo credo, in quelli che per anni hanno vissuto come ad opposte fazioni e che non è detto che esista in coloro che indichiamo come dirigenti solo perché sono giovani o perché sono figli di. Non basta, non basta, ci illudiamo se crediamo che il cambiamento avvenga spontaneamente, noi dobbiamo conquistarlo».

Detto fatto, classe dirigente sostituita, ringiovanita e base assottigliata. Ma quello che resta della base militante del Pd è contenta? A giudicare dal calo degli iscritti si direbbe di no, ma la questione come è noto è stata risolta con un Renzi che ha fatto spallucce, la sua logica è chiara, meno partito che può intralciare con sterile chiacchiericcio le sue idee, sostituito da più voti, meglio se quelli degli avversari. Una equazione che se non maneggiata con cura ha però un limite che provoca effimere e temporanee vittorie e snatura le radici di chi aveva la propria forza in una capillarità territoriale e, appunto, nella militanza solidale. Debora si è adeguata al nuovo corso, anche se ha dimenticato che il suo discorso del 2009 era stato possibile proprio perché lei rappresentava quel partito territoriale oggi annegato nel partito liquido voluto dal segretario-premier Renzi. Come dire che abbiamo il sospetto che oggi non sarebbe possibile la nascita di una nuova Debora se non attraverso il passaggio nelle maglie strette di una Leopolda.

Ma che Serracchiani anche nel 2009 non fosse una sprovveduta pasdaran lo dimostrò dopo il contropelo alla dirigenza nel vellutato passaggio nei confronti dell'allora segretario Franceschini.

Disse Serracchiani: «L’assemblea costituente, segretario, ti ha scelto come il suo segretario: continuare a discutere se in quella sede noi avessimo dovuto fare una scelta più coraggiosa o no non ci porterà da nessuna parte. Tu hai un compito difficile perché non sei un volto nuovo. Però hai il compito di dare una credibilità nuova a questo partito e ci stai riuscendo alla grande!!!».

Alla fine del suo discorso ecco che esce la Serracchiani popolare, quella che raccoglieva le maggiori simpatie della base : «noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che crede che la sicurezza si possa realizzare affidandola a dei politicizzati che si mettono a fare gli sceriffi, noi non possiamo riconoscerci in chi pensa che gli immigrati siano i criminali. Noi non possiamo riconoscerci in un Paese che non investe nella scuola nell’università e nella ricerca. Noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che pensa di superare la crisi economica solo prendendola più allegramente. Noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che pensa che i propri lavoratori siano dei fannulloni e che i medici debbano denunciare i propri assistiti. E noi non ci possiamo riconoscere in un Paese che non si preoccupa di quei bambini che rischiano di essere bambini non esistenti, bambini che non potranno essere registrati. Io quel paese non lo voglio. Noi non ci dobbiamo riconoscere in questi. E noi, dico segretario, non ci possiamo riconoscere in un Paese che non tassa i più ricchi solo perché pensa che siano troppo pochi! E dico, segretario, che non ci riconosceremo in un partito che non capisca quanto sia importante tornare a parlare agli italiani con una voce sola. Questo noi lo pretendiamo!!!».

Oibò questi passaggi sono purtroppo quelli dove l'oggi stride di più con ieri, le politiche del governo Renzi non sono proprio quelle auspicate nel 2009 da Debora. Certo un conto è enunciare principi ed un altro è tradurli in mediazione ed atti governativi, ma l'impressione che alcuni principi vengano sacrificati sull'altare della governabilità è forte, non si spiegherebbero altrimenti le decisioni ideologiche sull'art 18 e certi tentativi, troppo pacchiani per essere casuali, di favorire alcuni poteri spesso presenti nelle “conviviali” renziane o nelle segrete stanze del Nazzareno. Basti pensare a quella chicca di provvedimento che prevedeva l'evasione milionaria percentuale e che con rigurgito di giustizia sociale è stato per ora ritirato, ma solo dopo che si era stati colti con le classiche dita nella marmellata. Nonostante questo, dinnanzi ad avversari politici spesso inqualificabili, la fortuna di Debora sembra inossidabile, la sua base continua ad abbracciarla, sarà per quella figura minuta che sembra non soffrire le ingiurie del tempo, sarà perché le è rimasta comunque la grinta giovanilista. Durerà l'idillio? Difficile dirlo, ma forse Serracchiani dovrebbe ogni tanto riascoltare il suo discorso del 2009, gli farebbe certamente bene.