Dal golpe “medico” di Ben Alì, alla primavera araba, la Tunisia vittima del terrorismo

Con l’attacco terroristico al cuore politico e turistico della Tunisia, l’aggressività della minaccia radicale Isis compie un balzo in avanti non solo nel contesto locale, ma anche su scala regionale. Il segnale di allarme per un occidente sempre più vicino (la Tunisia è a soli 120 chilometri dall'Italia) e sempre più nel mirino, va colto in tutta la sua pressante urgenza, benché per gli analisti non rappresenti certo una sorpresa. In terra tunisina infatti, il fenomeno del terrorismo non è nuovo, l'attacco di Martedì che ha ucciso e ferito decine di persone molte delle quali straniere non è il primo episodio anche se in termine di vittime è il più alto nella storia del Paese. Contrariamente all'immagine che la dittatura dell'ex presidente Ben Ali voleva far credere, il terrorismo durante il suo “regno” c'era tanto che numerosi attacchi si erano verificati sotto la sua presidenza. Il primo pochi mesi prima di assumere l'incarico, era la notte fra il 2 e il 3 agosto del 1987 quando quattro esplosioni devastarono altrettanti hotel a Sousse e Monastir, sulla costa turistica. Quell'episodio contribuì a mettere fine al “regno” di uno stanco Habib Bourguiba, padre della patria tunisina che fu deposto per senilità, con un colpo di Stato "medico" rimasto unico negli annali del mondo arabo. A compiere il miracolo incruento il gen. Ben Ali che pochi sanno, perchè la memoria di certe cose in Italia viene spesso cancellata frettolosamente, ebbe un appoggio determinante da parte degli 007 dei servizi segreti italiani dell'allora SISMI. I fatti emersero successivamente, nell’ottobre del ‘99, quando a Roma, di fronte alla Commissione Stragi, il generale Fulvio Martini, che per 7 anni era stato capo del Sismi sotto i governi Craxi, Fanfani, Goria, e Andreotti, e di storie sporche aveva pieni i suoi armadi, rivelò affermando testualmente: «Negli anni 1985-1987 fummo noi Sismi a organizzare un colpo di Stato in Tunisia, mettendo il generale Ben Alì al posto di Bourguiba». C’era aria di crisi in Tunisia spiegò Martini, con grossi rischi di dare spazio al fondamentalismo islamico in tutto il Maghreb; noi italiani avevamo interessi seri, e il capo del governo Craxi e il ministro degli Esteri Andreotti ci diedero direttive precise. «Ci fu il cambio di potere senza spargere una goccia di sangue» e, un mese dopo il golpe bianco, il presidente dell’Eni, il socialista Reviglio, viaggiava a Tunisi accompagnato da Craxi, a firmare un importante accordo industriale e finanziario. La storia ci dice che Ben Alì fu sempre grato a Bettino Craxi, tanto che la storia dell'esilio a Hammamet fece parte della storia italiana del dopo tangentopoli. Ben Alì quindi con l'aiuto determinante dell'Italia si era fatto nominare Primo Ministro, per poi essere eletto presidente nel 1989 e rimanerlo fino alla “primavera araba”. Ma gli attacchi terroristici non si fermarono con l'avvento di Ben Alì. Nel febbraio 1995, a Tamerza (Sud), un commando del gruppo islamico algerino (GIA), attraversò il confine e trucidò sette guardie di frontiera tunisine. Nel 2000, a Kasserine, lo stesso gruppo algerino si impegnò in un altro attacco. Poi, era l'11 aprile 2002, sull'isola di Djerba, un camion bomba condotto da un kamikaze raggiunse la sinagoga ebraica e provocò la morte di 19 persone. Nell'inverno del 2006-2007, infine, un gruppo chiamato Assad Ibn Al-Furat riuscì a penetrare nella città di Soliman ingaggiando un combattimento con le forze dell'ordine tunisino. E' certo che ora il salto di qualità sia evidente: gli attacchi sono pianificati in una strategia, quella del “califfato nero”, che prevede che anche la Tunisia sia piattaforma di “lancio” del suo attacco all'occidente “crociato”. Ma i segnali c'erano già ed erano tanti: infatti l’allerta terroristica è andata crescendo senza sosta nell’ultimo anno. Fra i tanti fatti di sangue più gravi determinati probabilmente dal rientro di molti militanti jihadisti dal fronte libico, c'è quello di un mese fa, quando quattro poliziotti furono uccisi nella provincia di Kasserine, (una turbolenta area di confine con l’Algeria). La zona in cui è avvenuta la sparatoria di febbraio, Boulaaba, si trova a ridosso del monte Chaambi, da anni rifugio dei jihadisti tunisini e facilmente penetrabile, a Ovest, da quelli di stanza in Algeria. Okba Ibn Nafaa è sotto il fuoco delle forze dell’ordine dal dicembre del 2012, ma non è mai stato debellato. Nel 2014, in luglio, la medesima sigla aveva assassinato 15 soldati in due diversi posti di blocco: la strage più sanguinosa nella storia delle forze armate tunisine. Questa, dunque, è la corrente jihadista ancora fedele ad al-Qaeda nel Maghreb (Aqmi), con parentele nel Sahel. Ma non è la sola sigla tuttora in azione. Quella che sembra abbia preso il sopravvento è quella che si "ispira" ai tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo dell’Is. Il segnale più significativo è venuto con il sequestro e la decapitazione di un ufficiale della Guardia nazionale, Hassan Soltani, il quale, bloccato in una strada isolata di Tunisi da una dozzina di jihadisti mentre si trovava in automobile insieme al fratello, è stato rapito e poi sgozzato all’inizio di dicembre 2014. L’episodio aveva suscitato forte impressione nell’opinione pubblica tunisina, come se un virus letale avesse fatto la sua comparsa improvvisa in città proprio all'indomani dell'inizio di una stagione di ritrovata fiducia e speranza nel governo del Paese e nel nuovo presidente Béji Caid Essebsi, chiamato a rappresentare l’unità nazionale di fronte a una minaccia terroristica senza precedenti.