Corrispondenze epistolari, un’arte perduta assieme al futuro

Carteggio di Ada Negri

Carteggio di Ada Negri

di Lucia Burello.

Per secoli donne e uomini, soprattutto donne, si sono scritti lettere. Ma se vogliamo dare una data ufficiale per l'inizio della corrispondenza epistolare, possiamo posizionarci intorno al XIII secolo quando, certi scritti, rasentavano un'arte davvero raffinata. E tra le donne più “prolifiche” di parole che la storia ricordi, fu Margherita Datini, una gentildonna fiorentina vissuta agli inizi del Trecento che, costretta a lunghi mesi lontana dal marito, Francesco Datini mercante di Prato, alleviava la sua solitudine scrivendo. Accusata di grafomania, invece, fu Caterina da Siena che nel 1370, riavutasi da un'estasi, dettò centinaia di lettere alla sua “bella brigata” di amici.
Ma il secolo d'oro di quest'arte raffinata non poteva essere che l'Ottocento, il secolo romantico per eccellenza, il secolo della consunzione, degli amori folli, degli ideali, del suicidio per amore. Il secolo dei sensi febbrili che sulle antiche carte facevano scivolare fiumi d'inchiostro e lacrime al tremor di una candela. A scrivere era ovviamente la borghesia, con tutto il suo struggente sentimento messo a lucido assieme all'argenteria. Ed è proprio in questo secolo che le donne superano, in scrittura, gli uomini.

Alfieri e la contessa d'Albany

Alfieri e la contessa d'Albany

Ma la corrispondenza verso la quale tutti noi dovremmo avere un debito di riconoscenza, è quella avvenuta a partire dal 1817 tra Giacomo Leopardi, al tempo giovane rampollo “segregato” in casa dal padre, e Pietro Giordani, "patriarca" del classicismo italiano. Dalla corrispondenza nacque subito una bellissima amicizia ma il vero merito di quelle lettere e di quel felice incontro, fu il desiderio di fuga che andavano alimentando nel giovane poeta. Desiderio di conoscere il mondo, di confrontarsi con le menti più illustri della sua epoca, abbracciare il pensiero laico in piena libertà, furono aneliti troppo grandi da poter essere contenuti tra le mura della sua casa prigione. E anche la fuga del poeta, determinato a guadagnarsi il mondo e la vita scrivendo, fu accompagnata da una lettera struggente al padre, di cui riportiamo l'inizio:
«Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello ch'io avrò fatto, questo foglio le possa parere indegno di esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che non vorrà ricusare di sentire le prime e ultime voci di un figlio che l'ha sempre amata e l'ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere. Ella conosce me, e conosce la condotta ch'io ho tenuta fino ad ora, e forse, quando voglia spogliarsi d'ogni considerazione locale, vedrà che in tutta l'Italia, e sto per dire in tutta l'Europa, non si troverà altro giovane, che nella mia condizione, in età anche molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente inferiori ai miei, abbia usato la metà di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile, ubbidienza e sommissione ai suoi genitori, ch'ho usata io. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano perfettamente colle sue massime, hanno giudicato ch'io dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, se mi fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati indispensabili per fare riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di sé».
E' un vero peccato che la corrispondenza epistolare sia scomparsa, poiché assieme ad essa è scomparso un bagaglio prezioso fatto di attenzione, concentrazione, immaginazione, creatività, speranze, sogni, ideali. Tutti sentimenti indispensabili alla vita sensibile ma che all'interno di una mail, di un sms o di un twett, freddi, impalpabili e senza odore, certo non trovano spazio.
Proviamo a pensare al solo fatto che, un tempo, la carta costava parecchio e sprecarla era un lusso che pochi potevano permettersi. Ecco che l'attenzione nello scrivere per non fare errori diventava massima, consentendo il parto di sintassi bellissime.
lettera"

"La lettera" Federico Zandomenighi

"La lettera" Federico Zandomenighi

E proviamo a pensare agli odori dei papiri, spesso impregnati di quel profumo che si voleva far giungere alla persona amata. Profumi d'ogni sorta, sia ben inteso, anche di quelli che facevano arrossire il lettore. Una vera perdita, quasi una mutilazione. Per non parlare delle lebbra stampigliate a rossetto, le lacrime a sbavare il segno, le ciocche di capelli ad accompagnare i fogli. E quanta storia è passata attraverso le lettere dalle trincee.
La corrispondenza un tempo era viva, palpitante come le attese. E al proposito, forse la cosa più preziosa che la posta virtuale e in tempo reale ci ha portato via per sempre, è proprio l’attesa.
L'attesa del postino, del rumore della sua bici, o del motorino; del rumore dello sportello della cassetta delle lettere, l'attesa di vedere attraverso la fessura una busta, e tutto il batticuore che ne derivava. Dietro l'attesa c’era tutto: sogno, pensiero, ideale, progetto, speranza (in spagnolo aspettare si dice “esperar” , infatti). Perché nell'attesa c'è «il permesso gratuito di evocare un bel viso o di dialogare con un’ombra» come scrisse Dominique Blondeau. E se prestiamo fede alle parole di Pascal che scrisse: «Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose, non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro», va da sé che avendo creato l'uso del “tempo reale” per comunicare lavoro e sentimenti, avremmo forse guadagnato più “tempo” e denaro, ma di sicuro ci siamo giocati il futuro. Perché il futuro esiste soltanto nella nostra aspettativa creativa.
E allora, nonostante apprezzabili siano le tecnologie, è bene saper essere anche critici preferendo, per alcuni aspetti, assumere un atteggiamento più nostalgico, o reazionario che dir si voglia. Perché certe gioie, parafrasando Wilde, se non ci mettono troppo, le aspetteremmo tutta la vita.