Cina, in manette 12 manager per le esplosioni a Tianjin che provocò 139 morti. In ospedale ancora 500 feriti mentre si cercano i corpi di 34 dispersi

A 15 giorni dalla devastante esplosione nel porto di Tianjin in Cina la giustizia ha iniziato a fare il suo corso, una raffica di arresti che ha visto far scattare le manette a 12 persone sospettate di essere responsabili delle devastanti esplosioni avvenute il 12 agosto nella città portuale. Nella strage sono morte 139 persone, mentre altre 34 risultano ancora disperse che si sospetta siano stati disintegrati nello scoppio, per non parlare degli oltre 500 feriti ancora ricoverati in ospedale per ustioni e intossicazioni. Incalcolabili i danni materiali e all'ambiente con ripercussioni pesanti sulla vita deigli oltre 13 milioni di abitanti della città. Tra gli arrestati ci sarebbero anche il presidente, il vicepresidente e i tre vice direttori generali della società Tianjin International Ruihai Logistics,che gestiva l’impianto di stoccaggio delle sostanze chimiche e del carburante saltato in aria. Secondo un servizio televisivo locale rilanciato dalle agenzie internazionali, i proprietari della azienda avrebbero confessato di aver usato dei contatti con il governo per ottenere permessi di sicurezza che altrimenti non sarebbero stati loro concessi. Un accusa che se confermata vedrà presto delle ulteriori pesanti novità giudiziarie. Secondo la polizia cinese le persone finite in manette sono sospettate con la società di stoccaggio illegale di materiali pericolosi. Indagata anche la Tianjin Zhongbin Haisheng, una società sospettata di aver aiutato illegalmente la Ruihai ad acquisire documenti pertinenti per le valutazioni sulla sicurezza.
Separatamente la Procura Suprema del Popolo ha annunciato di indagare per “abuso di potere” e “abbandono ingiustificato del servizio” almeno 11 funzionari locali, ma si tratterebbe di una indagine parallela realtiva alla fase immediatamente successiva all'esplosione.