Che rottura, questa rottura con il passato!

CWPWVAAXRR03507In quest'epoca poco prodiga di prospettiva e con zero chiavi di lettura per poter trovare una strada possibile, avevamo auspicato una mostra d'arte che obbligasse gli artisti a immaginare il nostro futuro. Sì perché in quest'epoca di basso profilo creativo, miope e “afasica”, abbiamo pensato che imporre ai così detti artisti uno sforzo di veggenza, avrebbe potuto dare qualche interessante risultato. E poi è arrivata «All The World ‘s Futures», “Tutti i Futuri del Mondo”, tema di questa 56ma Biennale d'Arte di Venezia.
Curata dal nigeriano Okwui Enwezor, la kermesse veneziana ha tentato di colmare il vuoto intellettuale che, in questo ultimo decennio, si presenta come una voragine. E per farlo ha ritenuto indispensabile recuperare il rapporto tra arte, società e politica. Un dialogo che tanto ha impegnato il fior fiore degli artisti delle Avanguardie, e che ora è tornato, almeno per i giorni della mostra, ad essere al centro dell'azione creativa. Ma per poter leggere il presente e pensare il futuro, gli stessi artisti, ben 136 giovani provenienti da tutto il mondo, si sono resi conto che non possono prescindere dal passato. Peccato però, che nel confronto hanno peccato di ingenuità. Già perché l'uso che hanno fatto della memoria, è letteralmente lapidario. Come se un Requiem dedicato ai tempi andati, consentisse poi il biglietto per il teletrasporto, puntando dritti al futuro senza zavorra. Enormi statue di re dei tempi gloriosi, dunque, si presentano mutilate, senza testa né braccia, metafora di un tempo che deve essere ridotto in rovina, un tempo da “smantellare” per creare nuove possibilità.
Insomma, gli effetti collaterali di una cultura che vuole dimenticare il passato, una cultura “parricida”, continuano a mietere vittime. Ma se dagli anni Cinquanta in poi, anni post bellici, era comprensibile, oggi ignorare gli insegnamenti che la storia e le origini di noi hanno da offrire, potrebbe essere un grave errore e una scelta artistica assolutamente anacronistica.
Se l'arte oggi volesse offrire qualcosa di nuovo, a nostro avviso dovrebbe dimenticare la strada delle grandi “rotture”, così tanto trafficata e praticata da essere diventata un'autostrada. Per trovare qualcosa di nuovo che possa suggerire un'idea di progresso in positivo, è necessario saper ricucire, avere il talento di ritrovare il bandolo della matassa, quel filo di Arianna che collega i tempi ponendo l'artista in una dimensione altra, superiore, dove il tempo è uno solo e la memoria è visione del domani.
Ad ogni modo la è aperta al pubblico ai Giardini e dell’Arsenale e nel centro storico di Venezia.