C’era una volta in Italia … il festival reggae più grande d’Europa

 
 

 

Main Stage, Rototom Sunsplash (Benicàssim, Spagna).

Il reggae come filosofia di vita, la fedeltà del pubblico e la capacità di adattarsi al cambiamento hanno scritto la storia di uno degli eventi culturali internazionali di riferimento: il Rototom Sunsplash.

Il festival compie 25 anni e con i suoi 3,2 milioni di partecipanti e più di 2.300 artisti sviluppa una storia che unisce le Alpi italiane al Mar Mediterraneo di Benicàssim

Benicàssim | Venerdì, 25 maggio 2018
“C’era una volta in Italia un piccolo festival reggae che si chiamava Rototom Sunsplash. Oggi a Benicàssim, in Spagna, c’è un grande festival reggae, che si chiama Rototom Sunsplash”. Queste parole sono dell’artista Alborosie e furono pronunciate sul palco del festival nell’agosto del 2010, quando il Rototom atterrò per la prima volta in Spagna dopo l’addio a Osoppo e quindi all’Italia. Quanto detto da Alborosie riassume alla perfezione l’evoluzione del festival reggae più grande d’Europa. Il 2010 fu un anno difficile e pieno di incognite, ma otto anni dopo i cattivi pensieri hanno lasciato spazio a ricordi e immagini positive, accompagnando il Rototom Sunsplash direttamente al compimento del suo primo quarto di secolo.

I primi venticinque anni del festival sono riusciti a unire sotto la stella del reggae e della sua filosofia più di 3,2 milioni di persone, provenienti da tutti e cinque i continenti. L’equivalente della popolazione di Madrid o di Berlino. Sul palco, lungo le diverse edizioni, si sono invece alternati più di 2.300 artisti. E dal 16 al 22 agosto prossimi se ne aggiungeranno altri, pronti a celebrare, sotto il tema 25 years walking together il festival reggae più importante d’Europa. Tra gli altri, il chitarrista californiano Ben Harper, che per la prima volta nella sua carriera si cimenterà in un’esibizione reggae; lo stesso Alborosie che festeggerà a Benicàssim i suoi 25 anni di carriera; i neozelandesi Fat Freddy’s Drop; i referenti del rap cubano Orishas; il gruppo californiano roots reggae Groundation; il figlio del re del reggae Julian Marley e Konshens & Dub Akom.


Discoteca Rototom, situata a Gaio di Spilimbergo.

Il corso del tempo ha cambiato e migliorato molte cose. Il festival nacque nel 1994 in una discoteca situata a Gaio di Spilimbergo, un piccolo paese del nord est d’Italia. Qui il reggae conviveva con il rock e il punk; i Ramones e i Massive Attack con Fela Kuti, Yellowman e Burning Spear, il cui concerto di alcuni anni dopo, nel 2003, rimane ancora nei ricordi di molti per la sua intensità.

I cambiamenti rispetto alle origini sono evidenti, a partire dall’ambiente che ora circonda il festival. Il paesaggio alpino della sede italiana del Rototom Sunsplash ha lasciato spazio al mar Mediterraneo sul quale si stanzia oggi il recinto dei concerti di Benicàssim. Le distanze tra il passato e il presente si allungano poi con le cifre: dalle 1.000 persone che giunsero al primo Rototom a Gaio, si è passati alle 220.000 del 2017 a Benicàssim. Dai 14 artisti in calendario nel 1994, si è arrivati agli oltre 400 concerti dell’ultimo anno.


Lo staff Rototom, negli anni 90.

Il romanticismo iniziale, caratterizzato dall’aiuto spontaneo e dalla collaborazione che i residenti di Gaio offrivano al servizio del festival per portare avanti le prime edizioni, ha lasciato spazio a una struttura professionale e stabile. Questa evoluzione ha permesso di gestire l’enorme volume di attività, scenari, aree extra musicali e di participanti che, ogni estate, scelgono il festival non solo come destinazione, ma come ispirazione per il proprio stile di vita.


Parco del Rivellino, Osoppo.

Questo stile di vita, nato dal reggae e dai suoi valori e sul quale il Rototom è cresciuto, non è cambiato durante questi 25 anni. “L’atmosfera di famiglia e comunità che il reggae diffonde è incontestabile e genera un effetto di apertura nelle persone. È un messaggio molto forte di pace, rispetto, diritti umani, ambiente… Questi valori, attraverso il reggae, si veicolano in maniera naturale. È impossibile essere razzista e ascoltare reggae nello stesso momento”, spiega il presidente del Rototom Sunsplash, Filippo Giunta.


Benicàssim (Spagna).

Precisamente, la comunità e il senso di appartenenza che caratterizzano il festival sono una delle basi della sua particolarità. “Quello che ci differenzia è che il nostro pubblico sente il festival come se fosse suo. Si tatuano il leone [simbolo del Rototom Sunsplash] perché si sentono parte di questa comunità”, aggiunge Giunta. A questo si unisce il cambio generazionale, a cui il Rototom Sunsplash è testimone anno dopo anno: sono infatti tantissimi i padri e le madri che condividono questa esperienza con i propri figli.

In venticinque anni, oltre allo stile di vita, non è cambiato nemmeno il modello di gestione, per certi versi atipico ma che oggi, tuttavia, è il punto di riferimento per altri grandi eventi culturali. Con un profilo autonomo alla base, il festival è riuscito a finanziarsi quasi integralmente con gli ingressi e il merchandise, senza dipendere dai finanziamenti pubblici, che comprendono appena un 2,5%, né tantomeno dai patrocini, che rappresentano “quelle pratiche che vogliamo cambiare”, dice Giunta, alludendo alle tematiche apportate nel Foro Social. Quest’ultimo è un luogo di incontro e dibattito che ha ingrandito l’impegno sociale del festival con la presenza, tra gli altri, dei premi Nobel per la Pace Rigoberta Menchu e Shirin Ebadi, l’ideatore della modernità e sociologo polacco Zygumnt Bauman, l’attivista Vandana Shiva e Luigi Ciotti, il sacerdote simbolo dell’antimafia italiana.

Da un ritrovo nazionale a un appuntamento europeo e mondiale  
La fedeltà del pubblico è stato l’alimento con il quale il Rototom si è nutrito lungo la sua storia. In questo senso, Osoppo, sede del festival per un decennio dal 2000 al 2009, occupa un posto chiave. È infatti decisiva per il passaggio da ritrovo nazionale a evento europeo. La prossimità con l’Austria, la Slovenia e la Germania di questa piccola località di 3.000 abitanti, ai piedi delle Alpi, espanse le frontiere del festival e ridusse l’handicap del suo isolamento geografico. L’esperienza del Sunsplash a Osoppo spiega anche come si sviluppò l’atmosfera di pacifismo, tolleranza e interculturalità che definisce l’evento ancora oggi.

Osoppo visse lo splendore ma pure la croce del festival, che nel 2009 abbandonò l’idilliaco recinto del Parco del Rivellino per trasferirsi in Spagna, in un paese “ospitale e sede di molti altri festival”, che si affaccia sul mare. Lo fece costretto dalle accuse avvallate dalla legge Fini-Giovanardi e dalla politica di chiusura di frontiera che promuoveva il discorso nazionalista di Silvio Berlusconi e dei suoi alleati della Lega Nord, contrari alla coesione e convivenza di culture che l’evento promuoveva.

All’esodo, però, seguì la terra promessa di Benicàssim, come ribadisce il film Exodus-Finding Shelter, che affronta i motivi dell’addio del Rototom Sunsplash all’Italia e del suo arrivo in Spagna. Un cambiamento che la propria organizzazione definisce come “traumatico”, a causa delle numerose incertezze, ma che fu solo la transizione a un’altra epoca dorata per il festival. Il Rototom Sunsplash infatti riuscì a trascinare non solo lo staff e il proprio pubblico, ma pure ad aggiungere nuove persone al suo progetto. Qui iniziò a rivolgersi al mondo intero, potendo oltretutto, per la tranquillità dei partecipanti e degli organizzatori, lasciare da parte le preoccupazioni meteorologiche, proprie del clima pre-alpino di Osoppo. “Se ne è valsa la pena? Ce lo chiediamo ogni giorno. Nessuno tornerebbe indietro”, afferma il presidente del Sunsplash. Avanti così, per altri 25 anni.

Main Stage. Osoppo. 2006.