Carte da gioco, in estinzione una cultura millenaria

IMG_3891“Scherzare con i santi e lasciar in pace i santi” ,“Cambiare le carte in tavola”, “imbrogliare le carte”, Chi gioca per bisogno, perde per necessità”, “Costruire castelli di carta” e tanti ancora. Non si contano i proverbi nati attorno a un tavolo da gioco.
Ma quando è nato, invece, il "mazzo da quaranta"?
Le origini delle carte da gioco sono antichissime e si perdono nella notte dei tempi. Si perdono anche geograficamente, a onor del vero, ma secondo alcuni esaurienti studi, gli storici si sono ormai tutti persuasi a far risalire la comparsa delle carte da gioco intorno al X secolo in Cina. E si tratterebbe di una evoluzione delle cartelline del gioco del domino. Con il passare del tempo e l’intensificarsi degli spostamenti, gli arabi acquisirono l’uso delle carte dandogli forma e regole molto simile a quelle contemporanee. E fu solo a seguito degli scambi commerciali con i paesi del Medio Oriente che il Vecchio Continente conobbe questo divertente passatempo. In particolare suggerito dai mamelucchi egiziani. I primi a “impossessarsene” furono gli italiani e gli spagnoli e solo nel XIV secolo l’uso delle carte conquistò il resto dell’Europa. -Pompeii_-_Osteria_della_Via_di_Mercurio_-_GIOCO+DI+ALEA
Nel Quattrocento, poi, le carte subirono ulteriori cambiamenti finendo per ritrarre i componenti delle classi nobiliari: il re, il cavaliere, il fante, la regina. Un secolo più tardi, invece, comparvero i primi manuali che ufficializzarono le regole dei giochi e soltanto nel XIX secolo, furono segnate le indicazioni del valore delle carte sui bordi, e questo allo scopo d’essere visibile al giocatore che teneva le carte in mano a ventaglio. Questo ragionamento portò anche a disegnare le figure in modo speculare. Una curiosità: il mazzo di carte più antico ritrovato risale al 1430 e viene chiamato il “mazzo di Stoccarda”; le carte che lo compongono ritraggono scene di caccia.
Non è dato conoscere esattamente i giochi del Trecento, o quelli rinascimentali, perché quelli diffusi oggi nacquero solo nel XIX secolo. Il Poker, ad esempio, compare nel 1829 negli Stati Uniti, il Bridge tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la Canasta nacque a Montevideo durante la seconda guerra mondiale e la Scala Quaranta pare arrivi, addirittura, dall’Ungheria 70x80durante il primo dopoguerra. Il Baccarà, invece, nella prima metà dell’Ottocento.
Alcuni giochi antichi superstiti in Italia sono la Barrica e Primavera, risalirebbero infatti al XVI secolo. Per anzianità segue il Tresette, figlio dell’Illuminismo del XVIII secolo, poi Briscola e Scopa nate all’alba del XIX secolo e Settemezzo, nato al tramonto.
Quali curiose testimonianze a proposito del gioco delle carte nei secoli passati, sono alcune ordinanze, come quella fiorentina datata 23 maggio 1376 e che vietava il gioco delle “naibbe”, nome arcaico arabo, ‘nàib, e cioè il deputato o viceré delle carte mamelucche.
Nel 1377 un’ordinanza parigina, invece, vietava il gioco delle carte nei giorni feriali.
Disposizioni di questo genere non mancarono naturalmente nemmeno in Italia e, nello specifico, in Friuli, dove il tempio del gioco di carte furono, e lo sono tutt’ora, le osterie.
Ma l’abitudine di “batter cartone” sui tavoli dei locali va ormai scomparendo. Il motivo? E’ piuttosto semplice e triste, in realtà. Oggi esiste Facebook, Twitter e chi più ne ha più ne metta. I metodi per socializzare sono cambiati spostandosi sul piano della virtualità. Perfino il gioco di carte, ora, si è spostato sul web. E se le carte nei locali pubblici sarebbero proibite, disposizione che vorrebbe prevenire l’azzardo, nel frattempo le osterie si trasformano in squallidi casinò, esibendo, invece delle lavagnette d’ardesia per segnare i raggi, una serie di video poker idioti e micidiali. interno-piola-con-giocatori-carte
E allora, di un gioco antico e nobile, che per secoli ha contribuito all’aggregazione, alla socialità e allo svago, ora restano soltanto pallidi ricordi. Pittoreschi come qualche quadro che capita ancora di vedere appeso in un muro di storiche osterie superstiti. E i ricordi rimandano all’immagine di locali immersi nella nebbia del fumo e dove ai pugni assordanti sui tavoli spesso seguiva qualche colorita imprecazione. E pugni e imprecazioni arrivavano anche in strada, o in piazza dove, nei pomeriggi d’estate, spesso erano l’unico segno di vita. Se ne stavano là gli uomini del paese, tra bicchieri di vino che cerchiavano i tavoli, concentrati nelle partite una fila l’altra, fino a perdere la misura del tempo. “Ancora un raggio e poi a casa! L’ultima e via!” tutti buoni propositi che così buoni non erano mai.
E’ spaventoso come una cultura aberrante possa cancellare, nel giro di un lustro, mille anni di tradizione, usi e costumi, lasciando nel vocabolario comune misteriosi proverbi dei quali, ben presto, non si sospetterà nemmeno l’origine. E si continueranno ad usare così, senza cognizione di causa, come sta già accadendo per la maggior parte di essi.

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