Bavaglio all’informazione: mobilitazione o la legge punitiva sulla diffamazione passerà

Un'azione comune delle organizzazioni dei giornalisti europei a difesa della libertà d'informazione. É questa
la proposta lanciata a Trieste da Beppe Giulietti, giornalista Rai, storico sindacalista, già segretario Usigrai e parlamentare, nonchè portavoce di Articolo 21. Giulietti ha partecipato a un incontro organizzato dall'Assostampa del Friuli Venezia Giulia e introdotto da Carlo Muscatello presidente Assostampa Fvg, dedicato al progetto di legge sulla diffamazione, all’esame della commissione giustizia della Camera, e alla normativa sulle intercettazioni.
In Italia, così come in altri paesi europei come Francia e Spagna, è in corso un processo di limitazione dei diritti in nome della sicurezza, che potrebbero compromettere la libera informazione. In questo processo rientrano la normativa sulla diffamazione, che aumenta di fatto gli ostacoli al lavoro dei giornalisti, senza tutelare i cittadini, e la legge sulle intercettazioni. È necessario opporsi a questo tentativo, disattivare queste normative, ha spiegato Giulietti, e l'Ordine dei giornalisti e l'Fnsi "devono avviare un'azione comune in Europa a difesa della libertà d'informazione, un'azione coordinata con gli altri sindacati dei giornalisti d'Europa, presso la Corte europea e il Parlamanto di Strasburgo". Giulietti ha anche espresso preoccupazione sui contenuti della riforma della Rai, che, ha spiegato, pone il servizio pubblico sotto il diretto controllo del governo e della politica. "Vanno stabilite - ha aggiunto- regole chiare per la gestione della Rai e soprattutto per la scelta della dirigenza". "Sarebbe bello - ha poi concluso Giulietti - se la categoria avviasse anche un confronto sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che nelle ultime settimane ha vissuto nuovi sviluppi".
Temi di grande interesse quindi, quelli trattati a Trieste, temi che andrebbero maggiormente veicolati prima che si arrivi ad una definitiva approvazione di una legge che definire brutta e pericolosa è perfino poco. Il pericolo che ormai la norma passi con poche modifiche rispetto ad un impianto sicuramente punitivo per la categoria dell'informazione è infatti alto. Non ci si può limitare, come purtroppo stanno facendo molti esponenti politici, a semplificare la questione dicendo che il ddl  elimina il carcere e inasprisce solo le pene pecuniarie. Fondamentale è spiegare ai cittadini che la proposta di legge di riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa non può diventare il pretesto per introdurre nuove forme di bavaglio e di limitazione all'esercizio del diritto di cronaca, in considerazione che togliere il carcere per i reati di opinione non è una gentile concessione del parlamento, ma una precisa richiesta vincolante dell'Europa che ha già più volte minacciato l'Italia di infrazione. Anche sul tema multe, quelle previste sono troppo alte e potrebbero invece essere commisurate al reddito del giornalista, spesso infatti i più colpiti da denunce spesso temerarie, sono cronisti giovani non in grado di sopportare il peso anche del solo rischio sanzionatorio di tale portata, con il risultato di un autocensura che di fatto diventa limitazione alla libertà di stampa. Da questo punto di vista è fondamentale introdurre seriamente delle sanzioni pesanti anche per il querelante, se la richiesta è sbagliata o temeraria. Questo per evitare che azioni di risarcimento senza alcun fondamento diventino una forma di minaccia e di intimidazione nei confronti del giornalista, reo di fare soltanto il proprio dovere. Ma vediamo più nel particolare in cosa si evidenzia il tentativo di mettere il bavaglio alla stampa, stampa intesa nella accezione più larga, perchè ad essere colpiti dalla norma saranno tutti i tipi di media, giornali di carta,  tv radio  e giornali online. Come dire che nulla deve sfuggire al controllo della politica, di quella che ha paura dell'informazione, delle denunce, della verità e che purtroppo in questo parlamento sembra proprio essere la maggioranza e per di più trasversale .
Il testo mira diritto al cuore della cronaca e come contropartita alla previsione assurda del carcere che per la verità è stata applicata solo in un numero di casi che non si conta neppure sulle dita di una mano. Carcere eliminato ma si alza il tetto delle multe fino a diecimila euro per una diffamazione semplice e da 10 a 50 mila per una diffamazione "avvenuta con la consapevolezza della falsità", come se davvero ci fossero in giro solo cronisti che deliberatamente cercano di mettere in giro notizie false e tendenziose. Come è facile intuire una multa da 50mila euro rappresenta molto più dello stipendio di un anno perfino di un redattore regolarmente assunto, immaginiamoci di un precario o di un freelance. Una multa del genere porta necessariamente con sé la censura o peggio, come già accennato, l'autocensura. Ma non è tutto qui, c'è anche l'assurda nuova disciplina delle rettifiche che dovranno essere: "Senza commento, senza risposta, senza titolo". Spieghiamo meglio, qualcuno smentisce quello che hai scritto e tu devi piazzare in pagina e sul tuo sito la smentita senza poter dire nulla. Niente, tutti dovranno attenersi a questa regola. Che ha perfino un time limit: tutto va pubblicato "non oltre due giorni dalla ricezione della richiesta". Ci si aspetterebbe almeno che una norma così rigida comportasse se non altro la garanzia che, una volta pubblicata la rettifica, il soggetto in questione non presenti anche querela o una richiesta di risarcimento danni. Ma questa garanzia, a vantaggio della stampa, non è stata prevista. In compenso, è previsto che se la rettifica non è stata pubblicata come vuole il presunto diffamato si apra la via del ricorso al giudice, il quale può accogliere l'istanza e ordinare non solo la pubblicazione, ma anche irrogare una sanzione amministrativa e, non contento, mandare pure le carte all'ordine professionale "per le determinazioni di competenza". Stiamo parlando dell'avvio della procedura per una possibile sospensione per alcuni mesi. Di tutto questo ovviamente il maggiore responsabile sarà il direttore della testata, che diventa l'ombrello di tutti i possibili ricorsi, non solo per gli articoli firmati, ma anche per quelli anonimi ed anche l'emendamento del Pd Casson, sulle querele temerarie è stato stravolto nella discussione in aula al Senato e ne è venuto fuori solo che il giudice non avrà il potere, ma non l'obbligo, di punire economicamente chi presenta una richiesta di danni ma solo se è del tutto esorbitante. Insomma c'è uno spirito estremamente punitivo contro la stampa, nato in epoca pre-renziana ma che il governo Renzi, non ha fermato o tentato di cambiare durante la discussione prima alla Camera e poi al Senato. Ultima ciliegina sulla torta il sancito principio del diritto all'oblio. "L'interessato può chiedere l'eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori dei dati personali trattati in violazione delle disposizioni di legge", così con azione di forza, senza una discussione vera, in una legge che dovrebbe parlare solo di diffamazione e non di gestione delle notizie sul web, viene inserito un principio che fa discutere e che è sbagliato risolvere con una esemplificazione banalotta. Basti pensare a quale contenzioso da paura si crea con una simile disposizione, migliaia di richieste di cancellazione di articoli, un danno epocale alla storia dell'informazione e alla capacità futura di ricostruire storicamente fatti ed episodi, quasi si volesse creare un oblio sulle inchieste giornalistiche.