Bagarre fra i democratici: Uno psicodramma che rischia di diventare omicida

Per settimane il Pd è rimasto alla finestra a guardare, senza dire e fare nulla, la classica posizione del pugile suonato. Per alcuni versi era naturale dopo l'ennesima "tranvata". Alla fase dello sbigottimento però segue di solito quello di metabolizzare la sconfitta e poi, magari, quella di cercare di capire le ragioni di una debacle che in questo caso ha scarsi precedenti per entità, ma che in realtà è dal 2014 che si ripete ad ogni scadenza elettorale. Una sconfitta così devastante, che ha portato il partito al minimo storico. Sette punti percentuali e 170 deputati in meno rispetto al risultato del 2013. Questi i dati duri e inoppugnabili della catastrofe. Nonostante tutto questo, Matteo Renzi, il leader che ha condotto il partito al disastro, continua a spadroneggiare con la favoletta delle sue dimissioni che sono state la regina delle fake news del 2018, almeno fino ad oggi. Invece di assumere un atteggiamento di decoroso e doveroso vero distacco, l’artefice della peggior Caporetto della sinistra italiana, continua a voler dettar legge con buona pace di Maurizio Martina che, ingenuamente, aveva creduto di essere davvero segretario reggente, incassando un non detto “Maurizio stai sereno” nei fatti più che nelle parole. Perchè Renzi ha portato la sinistra italiana sull'orlo dell'estinzione, ma ha blindato per bene il suo potere. Sappiamo con quale cura abbia confezionato liste di fedelissimi alle elezioni, assicurandosi un adeguato manipolo di yesman in Parlamento e fuori. Così oggi alla vigilia di una direzione che rischia di diventare l'ennesimo avallo alle politiche renziane, con buona pace di una parte del partito che promette sempre battaglia ma che poi si vede ogni svolta spuntate le baionette.  Si era  facili profeti nel capire che sarebbe stato difficile  cambiare le sorti delle scelte già annunciate in Tv dal segretario ombra e forse neppure rinvigorire un dibattito con una analisi politica seria. Così almeno sembrava fino a questa mattina, ma poi è spuntato un documento dei renziani che più che spuntato le baionette ha direttamente disarmato l'opposizione interna.  Tre punti che portano in calce la firma di 77 deputati su 105 e 39 senatori su 52 .  Una vera pietra tombale. Tra i firmatari anche i capigruppo Delrio e Marcucci. "Siamo parlamentari eletti con il Pd e membri della direzione - esordisce il documento - proveniamo da storie e percorsi diversi. Non sappiamo se il prossimo congresso ci vedrà sulle stesse posizioni o se, del tutto legittimamente, sosterremo candidati diversi. Pensiamo tuttavia che tre punti chiave ci uniscano in modo forte”. I tre punti del documento di fatto svuotano di contenuti il dibattito della direzione anticipandone l'esito: “1. Crediamo dannoso fare conte interne nella prossima direzione. E' più utile riflettere insieme sulla visione che ci attende per le prossime sfide e sulle idee guida del futuro del centrosinistra in Italia. 2. Crediamo che lo stallo creato dal voto del 4 marzo sia frutto dell'irresponsabilità del centrodestra e del Movimento 5 Stelle che con la loro campagna elettorale permanente hanno messo e stanno continuando a mettere in difficoltà il nostro Paese. 3. Crediamo che il Pd debba essere pronto a confrontarsi con tutti, ma partendo dal rispetto dell'esito del voto: per questo  non voteremo la fiducia a un governo guidato da Salvini o Di Maio. Significherebbe infatti venire meno al mandato degli elettori democratici. E' utile invece impegnarci a un lavoro comune, insieme a tutte le altre forze politiche, per riscrivere insieme le regole del nostro sistema politico-istituzionale".
Insomma grazie al controllo di gran parte dei gruppi parlamentari Renzi continua a dettare la linea e quello che appare più grave lo fa al di fuori delle regole e degli organi di partito. Prima in Tv, da vero capo del partito, smontando ogni possibilità di dialogo con i 5stelle e oggi attraverso il documento che smonta direttamente la direzione.
E' evidente che rispetto alla formazione di un Governo l'obiettivo di Renzi è quello di continuare a guardare da lontano le iniziative degli altri attori politici, questa strategia avrebbe una sua logica se fosse chiaro cosa il Pd (o meglio, Renzi) si propone di fare dopo, perchè godere degli insuccessi altrui può dare certo  qualche soddisfazione, ma politicamente è del tutto sterile.  Così invece di discutere sul significato del risultato elettorale e sulle prospettive future, ragionare sui propri errori strategici e tattici, Renzi vuole che il Pd si ripieghi in un immobilismo cadaverico e lo fa accompagnando il feretro con una litania degna di una prefica, litania nella quale ripete come un mantra che è colpa di quegli stronzi degli elettori che non hanno capito la brillantezza delle sue ragioni. Insomma l'ammissione indiretta per la quale non serve analista o ipnosi,  che il vero problema mentale per lui  è la bruciante sconfitta al referendum costituzionale. Il resto è stato tutto strategicamente conseguenziale, rosatellum compreso. Già, il rosatellum, non certo casuale nella sua già preventivata impossibilità di rendere possibile una governabilità, una legge elettorale che non è altro che il coltello con il quale Renzi ha bucato il pallone dopo aver perso l'ultima partita, quella del 4 marzo scorso. Difficile che questo schema possa essere messo in discussione, si potrà fare se il partito prende coscienza di quanto è avvenuto dal 2014 ad oggi, ammettendo l'esistenza di una serie di sconfitte elettorali multiple senza precedenti, frutto non della stupidità degli elettori o di sorte cinica e bara, ma delle politiche sbagliate che hanno snaturato l'essenza stessa di quel partito e che ne hanno disseccato le radici recidendole giorno per giorno. Ora l'albero è caduto e tirarlo su è missione impossibile soprattutto se i giardinieri continuano a dar di zappa alla base della pianta.
Ma c'è poco da crederci in una rapida resurrezione, perchè  l'unico modo che Renzi ha di rimanere in sella è quello di mantenere imbalsamato il Pd facendo permanere  il rifiuto pregiudiziale ad ogni relazione politica con gli altri partiti, una autoghettizzazione funzionale solo all’ex segretario per mantenere il suo potere di interdizione. Infatti consapevole di aver perso ogni occasione di essere l'uomo della provvidenza per il Paese, non gli rimane, per soddisfare il suo ego smisurato, che mantenere la propria presa strangolatoria sul partito anche a prezzo di rischiarne il disseccamento finale. Inutile ricordargli quanto lui stesso disse nella direzione che sancì la scissione dei bersaniani nel febbraio dello scorso anno, e cioè che si era « chiuso un ciclo alla guida del Pd, perché abbiamo preso un Pd che aveva il 25% e nell’unica consultazione politica lo abbiamo portato al 40,8%» dovrebbe oggi umilmente prendere atto che portare il Pd alle politiche al 18% implicherebbe una uscita di scena vera e definitiva.