Attentati a Parigi, un azione di guerra che dimostra il fallimento delle politiche occidentali e del modello di integrazione francese

Negli attentati che hanno scosso Parigi e resa attonita la Francia non solo sono state uccise 130 persone, ma è stata definitivamente archiviata l'idea che fenomeni come quelli del terrorismo kamikaze si possano “gestire” annullandone il rischio con controlli sul territorio e la vigilanza di “obiettivi sensibili”. Quello che dimostra quanto avvenuto a Parigi è che, ormai, il vero obbiettivo del terrorismo è colpire la normalità, lo stile di vita occidentale. Tutto quindi può diventare obiettivo e quindi è impossibile annullare il rischio. Certo si può limitarlo con una adeguata azione di intelligence, ma annullarlo no. Analizzando quanto avvenuto a Parigi è chiaro che si è trattato di un’operazione coordinata di tipo militare, gli attacchi sono stati eseguiti da sette uomini che alla fine, probabilmente esauriti i colpi nella orrenda mattanza,  si sono autoneutralizzati facendosi esplodere  o almeno in un caso,  sono stati uccisi nel raid delle forze di sicurezza francesi. Un azione di guerra quindi alla quale non si può rispondere con i metodi convenzionali dell'antiterrorismo, ma sdradicando alla base la fonte ideologica, economica e di comando che non è certo in Francia come non è in Italia. Tutti sanno dove si trova, in quel sedicente califfato islamico a cavallo fra Siria e Iraq che l'incapace diplomazia occidentale ha usato come terreno di frizione fra restaurati  blocchi d'influenza, non capendo che il mostro tenuto in vita avrebbe poi colpito al di fuori dei lontani confini mediorientali. Insomma è saltato l'antico schema che vedeva i conflitti "regionali"come valvole di sfogo, come scacchieri nei quali misurarsi  e gonfiare i muscoli da parte di grandi potenze, un tempo  Urss e Usa, e oggi che la situazione è più complessa, da parte di molti soggetti ebri dei loro petroldollari, ma spesso fuori controllo perchè intrisi di fanatismo religioso.  E che la guerra sia ormai alle nostre porte, ed in casa dei francesi, lo dimostrano i fatti di Parigi a cominciare dalla scelta dei "target" degli attentati simultanei. La sala concerti Bataclan che poteva contenere fino a 1.500 persone, ristoranti e lo Stade de France, con la presenza del Presidente Hollande. Quegli obiettivi sono stati selezionati con cura  fra centinaia di simili presenti nella capitale francese, così l’incubo dell’intelligence francese si è materializzato. I servizi segreti potevano forse essere a conoscenza della possibilità di attacchi e alcuni ufficiali fra l'altro pare l'avessero confessato di non essere in grado di sventare o di anticipare tutti gli attentati, così come alla luce di quanto avvenuto, è stato fatto in queste ore praticamente dai gestori delle sicurezza di tutti paesi occidentali, Italia compresa. Del resto quella di Parigi è solo una conferma di un modo di agire in attacchi terroristici strategicamente pianificati come vere azioni di guerra o, se preferite, di guerriglia. I servizi di sicurezza francesi avevano certamente studiato i precedenti simili, come ad esempio gli attentati di Mumbai del 2008 quando dieci attentatori entrarono in azione contro cinque diversi obiettivi provocando la morte di 170 persone e  tanti episodi che hanno insanguinato Israele . “L’elemento di sorpresa si deve sempre tenere in considerazione”, dicono gli 007 parigini cercando giustificazione. Yves Trotignon, ufficiale della sicurezza, ha provato a dare una giustificazione all’impotenza della sua agenzia. Parlando degli attentatori ha detto: “Si tratta di ragazzi molto giovani pronti a morire, che hanno studiato nei minimi dettagli gli obiettivi e che sono stati addestrati a portare a termine la missione sapendo di provocare anche un danno esteso come quello che hanno inflitto con quest’operazione”. Trotignon si riferisce ai numerosi cittadini francesi di origini mediorientale e nordafricana di ritorno da esperienze forti e traumatizzanti in Siria, Libia o Yemen e che in Francia hanno collegamenti con il contrabbando di armi. Più che una giustificazione sembra una dichiarazione di colpevole impotenza, anche se nel tentativo di abbassare il grado di critiche ricevute, fonti dell’intelligence francese hanno fanno sapere di aver sventato diversi tentativi di attentati  dopo quello di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo. Gli episodi vengono snocciolati con intento consolatorio: ad aprile scorso uno studente di origine algerina si era sparato per errore un colpo alla gamba nel quartiere Villejuif e la polizia lo aveva arrestato perché sospettato di voler entrare in azione. Quattro mesi dopo un uomo armato intento ad aprire il fuoco a bordo di un treno Amsterdam-Parigi era stato bloccato da alcuni passeggeri.  Quasi un autogol da parte dei servizi francese dato che negli episodi citati la casualità ha avuto un ruolo non marginale.  Ma il vero problema in Francia non è il fallimento dell'intelligence, ma del modello francese di convivenza ed integrazione, di quella presunzione transalpina di aver risolto con la semplice assimilazione e isolamento la presenza di sei o sette milioni di cittadini di cultura e provenienza islamica. I segnali vi sono da sempre, era accaduto con le rivolte nelle banlieue ai cui ragazzi veniva imposta la rimozione delle proprie diversità culturali di origine, con la messa in atto di discriminazioni sociali e sul diritto al lavoro. Tutto questo ha gettato benzina sulla convivenza in patria tra varie estrazioni etniche, soprattutto tra le giovani generazioni che oggi s’identificano in realtà ideologicamente corrotte dall’ortodossia e dall'integralismo probabilmente più per inconsapevoli  ragioni di rivalsa e vendetta dei torti subiti che per convinzione. Nessuna giustificazione, intendiamoci, ma solo lo sforzo di capire il perchè dei fatti. Questi giovani nella loro lucida follia distruttiva ed autodistruttiva si stanno dimostrando anche capaci di darsi logisticamente obiettivi raffinati e buona capacità organizzativa, aiutati anche dalla possibilità  di comunicare da e con ogni parte del mondo che internet consente. Di tutto questo c’è consapevolezza nei vertici dell’intelligence francese, ma forse meno nella dirigenza politica del paese.

Fabio Folisi