“Armiamoci e partite”: l’Arabia Saudita al comando dell’armata islamica anti Isis. Califfo Al-Baghdadi da “utile idiota” ora è ostacolo

La notizia della coalizione anti Isis di paesi Islamici a guida saudita, addirittura 34, è passata, anzi scivolata, nelle pagine dei giornali fra una dichiarazione della Boschi e sulla Boschi e la morte del “venerabile” Licio Gelli. Cronache di un italietta con la stampa che non riesce proprio ad uscire dalla propria provincialità e auto marginalizzazione. Eppure quell'annuncio, pur non privo di rischi per la geopolitica mondiale e quindi per l'Italia, potrebbe essere una chiave di uscita da una situazione siriana ormai fuori controllo. L'idea che 34 nazioni, così eterogenee fra loro, abbiano aderito all'appello lanciato dalla dinastia saudita, che nel frattempo come è ben noto non è certo incolpevole relativamente all'ascesa dell'Isis, fa comprendere quale sia il reale peso economico dell'Arabia Saudita, che come è noto, oltre al petrolio possiede una buona fetta dell'economie occidentali, quella Usa in testa. Questo fatto ha spiegato la colpevole benevolenza Usa e di conseguenza europea, nei confronti di un regime, quello di Ryad, dove solo parlare di diritti umani è reato, dove la pena di morte per lapidazione è una realtà comunemente praticata e soprattutto dove le donne vivono una condizione di semi-schiavitù. Nonostante tutto questo i premier di mezzo mondo con i sauditi fanno affari e periodicamente si prostrano in imbarazzanti inchini davanti al monarca. Ma guardiamo quali sono le 34 nazioni che aderiscono alla coalizione anti Stato Islamico lanciata e diretta dalla dinastia saudita: troviamo Maghreb, Mashreq, Sahel e anche qualcosa in più come Uganda, Kenia e perfino Somalia e Pakistan. Ma anche Afghanistan, Bangladesh, Malesia. Una unione eterogenea che nelle intenzioni saudite è quella di diventare il punto di riferimento e il polo di aggregazione del sunnismo mondiale contro il nemico sciita. Ebbene sulla strada del rilancio di questa leadership, dell'”opa” sull'intero Islam, il califfo Al-Baghdadi e i suoi miliziani vestiti di nero ora sono diventati un ostacolo da rimuovere o quantomeno da calmierare, perchè andati fuori controllo. Così da parte saudita si è lanciato l'appello di un “tutti insieme” per combattere i miliziani sparsi in vari luoghi di Medioriente, Asia e Africa, e presenti quindi anche in alcuni dei Paesi coinvolti nella stessa “alleanza islamica”. In realtà si tratta del più chiaro degli “armiamoci e partite” perchè, al paventato corposo contrasto intercontinentale che non vuol essere ipocritamente chiamata guerra mondiale, ma che non è detto non lo diventi del tutto, non seguirà di certo un impegno operativo di Ryad. Del resto quello che serve contro Isis è aggiungere azioni di terra ai raid aerei già presenti, realizzati da americani, francesi, inglesi e russi. Sui russi, amici dell'Iran, andrebbe in realtà aperta una parentesi comprensiva anche delle tensioni con la Turchia seguite all'abbattimento del jet di alcune settimane fa, “avvertimento” che oggi, alla luce della nuova leadership sunnita potrebbe essere letto più chiaramente. Sevono azioni di terra quindi, ma non più solo quelle effettuate dalle unità combattenti kurde e dai peshmerga, ma magari da eserciti africani che di uomini sacrificabili ne hanno tanti. Difficile pensare infatti che Ryad già impegnata nell'intervento nello Yemen contro i ribelli Huthi operi con propri uomini sul fronte Isis, meglio una bella guerra per delega di cui però rimanere alla testa e che logica vorrebbe, essere fatta con l’ausilio statunitense di sempre, Cia in primo piano ovviamente. Del resto bisognava dare un segnale all'occidente, appare palese infatti che la mossa della corona saudita è legata a rassicurare gli alleati occidentali sul fatto che loro con Isis non hanno nulla a che fare. Così nell'impresa si sono impegnati ai massimi livelli, oltre che col sovrano anche col rampante di corte, il trentenne Mohammed Bin Salman che prosegue nella sua opera di accaparrare incarichi (è ministro della Difesa e capo della Corte reale) in funzione probabilmente del potere prossimo venturo al quale aspira. Ma sono in molti a non nutrire fiducia in questa nuova volontà antiterroristica saudita, per il passato che ha visto dai tempi di Bin Laden i sauditi protagonisti sostenitori e per i presente visti i canali di finanziamento che le petromonarchie tengono ancora aperti verso Al-Baghdadi. Altri analisti invece sono più ottimisti, non solo perchè il califfo nero si è probabilmente montato la testa e non risponde più come dovrebbe ai suoi finanziatori, ma per il fatto che negli interessi sauditi ora prevale di più la necessità di rafforzare copiosantemente il suo ruolo internazionale sul mondo arabo nel contrasto con gli ayatollah iraniani dopo l'accordo sul nucleare nonché la paura che l'occidente ritrovi il senno e smascheri il doppiogiochismo sautita.

Fabio Folisi