Annunciato accordo “bis” Di Maio-Salvini su governo Politico. Premier Conte, all’economia il professor Giovanni Tria. A Savona il dicastero delle Politiche comunitarie

Ci sarebbe un'intesa di massima sulla spartizione dei ministeri più importanti del governo m5s-Lega e quindi, ma il condizionale è d'obbligo, potrebbe nascere il governo Conte. L'ultima riunione tra Salvini e Di Maio avrebbe prodotto una mediazione che vedrebbe all'Economia il professor Giovanni Tria, presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione e professore ordinario di economia politica all'università di Tor Vergata; agli Esteri Moavero Milanesi; mentre per l'economista Paolo Savona il dicastero delle Politiche comunitarie. Confermato coe detto in apertura Giuseppe Conte come premier, mentre resterebbe senza ministeri ma con un piede dentro la maggioranza Fratelli d'Italia che sulla fiducia si asterrà. Alla Difesa andrebbe Elisabetta Trenta, in quota M5S. Al vertice Salvini-Di Maio si è aggregato nel pomeriggio anche Conte, arrivato in treno da Firenze. Mentre Carlo Cottarelli ha lasciato Montecitorio per andare al Quirinale per un colloquio molto breve e informale con il presidente che dovrebbe preludere ad una dichiarazione di rimessa della delega a Mattarella mentre a breve potrebbe essere convocato Conte. In una nota Salvini e Di Maio hanno annunciato che c'è un nuovo accordo.

Chi è Giovanni Tria?

E' Preside della facoltà di Economia dell'università Tor Vergata a Roma, dove è docente di Economia politica. Wikipedia scrive che Tria "è stato chiamato negli anni come esperto in diversi ministeri (Economia e finanze, Esteri, Pubblica amministrazione, Lavoro)" ed "è stato presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione della presidenza del Consiglio a Caserta, dal 1° gennaio 2010 al 15 marzo 2016".

Mentre varie testate segnalano un recente articolo su Formiche.net (“Vi spiego la competizione truccata in Europa che favorisce la Germania”) Tria se la prende con l'enorme surplus di bilancio di Berlino che a suo dire non è compatibile con il regime di cambi fissi.

Sebbene sia critico verso le regole dell'Ue, secondo Tria uscire dall'euro sarebbe un danno per il Paese. Così infatti scriveva in un articolo datato marzo 2017 sul Sole 24 Ore, il cui coautore è Renato Brunetta: "Non ha ragione chi invoca l'uscita dall'euro senza se e senza ma come panacea di tutti i mali, ma non ha ragione neanche il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, quando dice che "l'euro è irreversibile".

In un altro articolo apparso sempre su Formiche.net L'economista Tria sembra appoggiare sostanzialmente il contratto di governo Lega-M5s, ma sulla fattibilità del superamento della legge Fornero non si sbilancia troppo:

"Allo stato attuale – scriveva -, una stima del costo mi sembra ancora velleitaria se non si chiarisce il meccanismo, anche perché l’abitudine di denunciarne l’impatto cumulandone il costo per un lungo periodo di tempo non contribuisce alla chiarezza in termini di impatto che è importante quanto il lungo periodo".

Più in generale, Tria si dimostra cauto riguardo agli interventi di spesa contenuti nel contratto di governo: "Con tutto il rispetto per le competenze riunite intorno al tavolo politico delle trattative - scrive - le norme attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema. E in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione".

Quanto al reddito di cittadinanza, secondo Tria non è "in contrasto pregiudiziale con una politica orientata alla crescita e alla sfida della globalizzazione. D’altra parte, ristrutturazioni e innovazione tecnologica richiedono transizioni da sostenere sul piano sociale". A patto però che per reddito di cittadinanza si intenda "una indennità di disoccupazione un poco rafforzata" e non "un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma".

Tria considerava però "più interessante" la Flat tax , "che coincide con l’obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti".