Anche la mafia ha le sue primarie, così tornano di moda le sale da barbiere e i baci sulla fronte del padrino

A volte la cronaca sorprende, così da Palermo arriva la notizia che anche la mafia ha le sue primarie. Non è dunque una invenzione del Pd e neppure della politica made in Usa, ma, udite udite, genesi di Cosa nostra che, ma qui la questione diventa incerta, avrebbe esportato il suo metodo elettivo assieme ai picciotti ai tempi della “mano nera”. Quasi un destino crudele considerando che le primarie, considerate espressione massima di democrazia a “stelle e strisce” in realtà, fosse davvero invenzione mafiosa, avrebbe la stessa dignità della “democrazia” a scartamento ridotto o meglio a sovranità limitata, esportata in ogni dove, in punta di baionetta. Scherzi e folclore a parte, quanto emerso delle indagini dei carabinieri a Palermo è la dimostrazione che la mafia siciliana, nonostante il 41 bis ai boss, i maxi processi ed i sequestri milionari di beni, è viva e vegeta. Certo è in difficoltà, ma sopravvive come cultura criminale, cosa, se vogliamo anche più grave dell'esistenza operativa stessa. Così si è rivisto nei filmati fatti dagli investigatori il bacio sulla fronte al padrino e appunto la riunione dei capi mandamento con le votazioni per eleggere i vertici della cosca, che sono state di certo precedute da auto-candidature in primarie. per meriti sul campo, a colpi di reati quando non di cruenti omicidi, come medaglie al valore da esibire. Le indagini dei carabinieri - che hanno fermato sei persone appunto anche per omicidio - hanno sollevato il velo sul mandamento di Santa Maria di Gesù. Le telecamere e le microspie degli investigatori hanno ripreso le riunioni con i discorsi dei mafiosi sulle elezioni e i baci che a turno davano in fronte al nuovo padrino Giuseppe Greco, per suggellarne l'autorità conseguita ed il patto di fratellanza.
Per decidere alleanze e candidature avevano scelto una sala da barba, ed anche questo è un simbolo tipico di storiografia mafiosa: stragi, omicidi, intimidazioni, così come rapide riunioni operative nelle quali si decideva la vita e la morte, sono spesso avvenute dal barbiere. Questo nella realtà così come nella letteratura, per non parlare della cinematografia. Spesso si vedeva protagonista la poltrona di Figaro ed il rasoio affilato dalla cinghia di cuoio, come simboli di quella mascolinità pelosa che non poteva e forse non può ancora mancare, nell'immaginario di Cosa nostra. Così non sorprende che nel cuore del feudo mafioso di Santa Maria di Gesù a Palermo, i boss si riunivano nella barberia prima di dar via alle elezioni per il rinnovo dei vertici del clan, ma particolare ancora più inquietante, discutevano dell'ultima impresa “muscolare” simbolicamente truculenta. La barberia è insomma il luogo dove orecchie in divisa hanno sentito quanto bastava per fare luce sull'omicidio di Salvatore Sciacchitano, ucciso il 3 ottobre scorso a Palermo e che ha portato a sei fermi. Sciacchitano avrebbe partecipato a un agguato contro un pregiudicato vicino alla cosca, così dopo poche ore sarebbe stato punito. Una ritorsione che voleva essere simbolo della capacità militare del clan, in grado di organizzare in pochissimo tempo una reazione militare all'aggressione di uno dei suoi. Dalla nuova inchiesta palermitana, dunque, non emerge solo il ritorno ai vecchi metodi di designazione dei capi, attraverso una sorta di "democratizzazione" criminale seguita agli anni di tirannia dei corleonesi di Totò Riina che l'avevano scalzata, ma anche ai vecchi metodi sanguinari fra aspiranti boss da esibire almeno finchè ad uno di loro non verrà baciata la fronte. Fra gli arrestati, segno di una giustizia zoppicante, c'è anche uno dei sette ergastolani condannati e poi scagionati dal processo per la strage di via D'Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Si tratta di Natale Gambino finito ora in cella insieme a Giuseppe Greco, già arrestato e condannato per associazione mafiosa. I due, intercettati, parlano esplicitamente del rinnovo dei vertici del loro sodalizio mafioso. I fermati nell'operazione antimafia ''Torre dei diavoli'' dunque sono il boss Giuseppe Greco, 53 anni, Domenico Ilardi, 19 anni, Gabriele Pedalino, 19 anni, Lorenzo Scarantino, 21 banni, Francesco Urso, 32 anni e il già citato Giuseppe Natale Gambino, 57 anni. Insomma regole vecchie per volti nuovi, a volte giovanissini affiliati ad una delle famiglie considerate fra le più pericolose. Tutti accomunati dall'essere potenziali astri nascenti della malavita organizzata, alcuni dei quali trovati in casa con tutto l'armamentario del mafioso doc, pistole, pacchiani ma coronati orologi d'oro dal blasone che piace ormai solo agli sceicchi, ai calciatori e ai criminali, con i ruoli che di tanto in tanto si mescolano. Per non parlare delle migliaia di euro in contanti. Uomini d’onore insomma che, come mostrato da microspie e intercettazioni ambientali, si riconoscevano ancora nelle vecchie logiche della mafia violenta. Difficile dire se si tratta di cellule dormienti o della punta di un iceberg di cui è visibile solo una piccola parte. Abbiamo ragione di credere che la malattia non sia stata estirpata del tutto e che, come nel recente passato, oltre alla mafia militare vi siano altri livelli. Economia, politica e forse istituzioni. Chi è ora il pupo o il puparo è difficile dirlo, solo di una cosa siamo matematicamente sicuri, in questa occasione Giulio Andreotti e il presunto bacio ricevuto,  non c'entra.

Fabio Folisi