Ammanettato in città un uomo geniale

biblioteca arcivescovile UdineIl filosofo austriaco Robert Eisler derubò nel 1907 la biblioteca Arcivescovile di Udine. L'oggetto rubato fu un prezioso codice miniato del XV secolo. "Un vero colpo di follia", commentò al proposito, Benedetto Croce. L'imputato, tentò due volte il suicidio.

Incrociando sugli scaffali di una libreria il volume, “Uomo Lupo”, riedizione di un saggio ad opera del discusso scienziato austriaco, Robert Eisler, curato da Martino Doniu ed Enrico Giannetto per Medusa editore, ci è tornato alla mente un episodio che, qui in Friuli è noto soltanto a una ristretta cerchia di ricercatori.
Eisler, l’8 giugno del 1907, tentò di rubare un codice miniato dalla Biblioteca Arcivescovile di Udine. La notizia fece così tanto scalpore che, al tempo, se ne occupò anche il Corriere della Sera. La vicenda è decisamente curiosa, ma prima di riportare la storia degli eventi, recuperata dalle cronache udinesi, è bene chiarire ai lettori chi fosse Robert Eisler.

Robert Eisler

Robert Eisler

Lo studioso.
Nato nel 1882 e morto nel 1949, fu una delle figure più controverse e sconvenienti nell’Europa decadente. Nato in seno a una famiglia ebraica di Vienna, studioso di storia delle religioni e di cosmologia antica, di misteri orfici e iconografia, fu amico, tra gli altri, di Walter Benjamin e Gerschom Scholem. Deportato a Dachau e a Buchenwald riuscì poi a riparare in Inghilterra dove continuò i suoi studi. Nel mondo accademico fu considerato un impostore, un dilettante geniale ma senza metodo.
Insomma, Eisler lasciò un’opera all’insegna dell’eccesso non godendo certo di buona stampa. In una biografia a lui dedicata da Scholem, nel tracciare un quadro sulle debolezze personali dell’uomo che portò il paradosso a pura mistica, l’amico/nemico omise un fattaccio che, all’epoca, fece gran scalpore: il furto perpetrato a Udine, appunto.
“Un vero colpo di follia” come commentò al tempo, Benedetto Croce in una conversazione con Giovanni Gentile. Ma quale fu l’oggetto del furto di cui si macchiò Eisler?
Si tratta di un vero gioiello, una tentazione per tutti: un codice miniato risalente al XV secolo con tema la Vergine dei defunti, acquistato per la Biblioteca Arcivescovile nella seconda metà del Settecento dall’Arcivescovo Gian Girolamo Gradenigo.

La cronaca del furto.
La mattina del 10 giugno 1907, sulla bocca degli udinesi corre una notizia che ha dell’incredibile: un professore viennese ruba un prezioso manoscritto dalla Biblioteca Arcivescovile. Scoperto, tenta due volte il suicidio.
Ma ecco cosa scrive il cronista del giornale di Udine: “Sabato mattina giunge da Venezia il dottore in filosofia Roberto Eisler, fu Federico, d’anni 26 da Vienna. Prese alloggio all’albergo Croce di Malta alla stanza 21. Si tratta di un bel giovanotto, biondo dai modi distinti. Dopo aver mangiato una omelette si allontanò dall’albergo con la macchina fotografica e si recò al palazzo Arcivescovile, dove si presentò al bibliotecario don Nicolò Pojani, il quale lo introdusse nella biblioteca ricca di preziosi codici e manoscritti. Il professore viennese chiese e ottenne di poter fotografare le miniature di un codice antico. Eseguita la fotografia don Pojani ripose il libro nella busta e notò poco dopo un brusco movimento del professore ma non vi fece caso. Più tardi don Pojani, riunendo i volumi, con sorpresa constatò che uno di essi, quello fotografato, era sparito. Si trattava di un manoscritto sulla Madonna dei Morti fregiato da splendide miniature e risalente al XIV secolo (il cronista sbagliò la data. Ndr.); avvertì subito la polizia che condusse il visitatore in questura. Eisler levò una Chéque da 5 mila lire dicendo al prete che era talmente sicuro di non aver preso nulla, da lasciare in deposito la somma. Continuò nella negativa quando il commissario Contini riconobbe in lui l’uomo che poco prima, per strada, gli domandò dove si trovasse la posta. E disse: “Voi siete stato alla posta, adesso ci vado anch’io”.
Inutile dire che il commissario recuperò all’ufficio postale il codice miniato, già impacchettato e destinato a Frauchestein Michael, Mausen Strasse VI, Vienna.
Nel frattempo, all’ufficio del commissario, il filosofo afferrò un temperino che si trovava sulla scrivania e se lo impiantò in gola. Scrisse il cronista: “Ma venne immediatamente disarmato dalla guardia scelta Fortunati, che lo condusse immediatamente all’Ospedale”. Una volta curato e ricondotto in questura “in preda a grandissima agitazione, fece una completa confessione dicendo di essere stato trascinato all’atto inconsulto da una forza irresistibile. Venne quindi passato senz’altro alle carceri dove, la notte, in un eccesso di disperazione, tentò nuovamente di por fine ai suoi giorni recidendosi le vene del polso sinistro con i frantumi di una boccetta contenente liquido disinfettante. Venne tosto chiamato il medico che gli praticò tre punti di sutura”.

Una seconda accusa: pornografia.
L’Eisler scelse a suo difensore l’avvocato Driussi. Essendo suddito austriaco non ottenne la libertà provvisoria nemmeno con cauzione. Nel frattempo un telegramma da Vienna annunciò che il dott. Robert Eisler fu già a Trieste coinvolto in uno scandalo di fotografie pornografiche. “E’ tutto falso!” dichiarò la madre che, informata dell’arresto, giunse immediatamente a Udine assieme a un amico del figlio, certo Augusto Majer.
“La madre, sulla cinquantina, di statura molto alta e capelli grigi, afferma che si trattava di una fotografia non pornografica, ma solo il ritratto di una signora”. Nel frattempo arriva comunicazione dal medico delle carceri che Eisler “… si trova alterato di mente in causa della malaria”.

Il processo.
19 giugno 1907. Il processo contro il professore Robert Eisler è presieduto dall’avvocato Zamparo. Giudici Turchetti e Rieppi. Difensori Driussi e Bertacioli. Perito psichiatrico, prof. Antonini.
“La folla ha riempito l’aula. – scrissero le cronache - L’accusato è di statura piccola, senza baffi. Parla speditamente l’Italiano. Comincia a narrare dei suoi viaggi in Italia, spiegando che decise di passare per Udine in visita alla famosa Biblioteca Arcivescovile per ragioni di studio (…)”. Insomma, alla fine l’imputato confessò tutto accusando il bibliotecario Pojani di negligenza. A quel punto in aula si scatenò una vera e propria zuffa. Davanti al giudice, in sua difesa intervenne anche l’amico Mayer, che giurò: “Eisler è persona geniale che giunge ogni giorno a nuove scoperte in campi vastissimi. Egli stava per scoprire uno dei punti più oscuri della storia umana, cioè la genesi del mito”.
Un altro teste da Vienna, Ugo Hoffmannsthat aggiunse: “è di carattere eccitabile e nervoso. Ha molta fantasia, grande ingegno, ma pessimista”.

La sentenza.
L’imputato fu condannato a 6 mesi. Gli venne condonato uno per le attenuanti. Infine accordato il perdono per una legge sugli stranieri. Pagò solo le spese processuali. Immediata fu la reazione dell’Intellighenzia udinese che indignata inveì pubblicamente contro “questi stranieri che approfittano dell’ospitalità a loro accordata nelle case dell’arte e della scienza, per derubarci!”.

Un gioiello tra i tanti in un mondo di libri che ha compiuto tre secoli. codice1
Notizie sul codice miniato in questione sono puntualmente pubblicate dallo storico Cesare Scalon sull’inventario della Biblioteca Arcivescovile di Udine, nata nell’agosto del 1711 per volontà del Patriarca Dionisio Delfino e che fu la prima biblioteca pubblica in città. Ma ecco cosa scrissero le cronache del 1907 a proposito dell’opera rubata: “Il codice è uno dei più preziosi posseduti dalla Biblioteca Arcivescovile. E’ di formato in 8 e porta per titolo Officio b. Virginis et Passionis; Septem psalmi poenit. Officium Defunctorum. La scrittura del secolo XV stesa su membrana è decorata da miniature veramente ammirabili per esecuzione e conservazione”. In effetti l’opera miniata, come poi scrisse Scalon, è in legatura originale in tavole rivestite in pelle, con impressioni a secco e borchie d’argento agli angoli; al centro è finemente lavorata. Taglio in oro. Quantunque gli uffici della Vergine e dei Defunti siano quelli romani, sottolinea Scalon, il calendario e le litanie indicano chiaramente l’origine aquileiese del manoscritto. Una curiosità: su un punto del codice si legge una scritta: “Palladio”. E qualcuno ha ipotizzato che il codice fosse appartenuto all’architetto vicentino.

Lucia Burello