Allarme “superbatterio”dagli Usa

Quando arrivano allarmi sanitari globali, il pensiero non può che correre alla vicenda dell'aviaria, la presunta pandemia in arrivo che costrinse i governi di mezzo mondo all'acquisto inutile quanto costoso di vaccini dalle case farmaceutiche che così fecero miliardi.
Tutto finì, per fortuna, in una bolla di sapone che costò miliardi alla sanità pubblica. Ora il nuovo allarme arriva dagli Usa, e si tratta di qualcosa di cui si parla da tempo come possibile evoluzione  dei batteri ma che per la prima volta si è concretizzato. Si sarebbe conclamato un primo caso di antibioticoresistenza. Per la prima volta insomma negli Stati Uniti, è stata trovata una persona portatrice di un batterio con un gene che lo rende resistente persino a uno degli antibiotici più potenti.
Secondo quanto emerso da uno studio pubblicato su Antimicrobial agents and chemotherapy, rivista dell'American society for microbiology, il batterio è stato
individuato lo scorso mese nelle urine di una donna della Pennsylvania di 49 anni. Gli esperti del dipartimento della Difesa hanno stabilito che si tratta di un ceppo di
escherichia coli resistente all'antibiotico colistina, l'ultima possibilità a cui si ricorre per curare queste tipologie di "batteri resistenti” o "da incubo", come li hanno
ribattezzati gli studiosi, perché sono capaci di uccidere fino al 50% dei pazienti colpiti.
L'allarme. La scoperta, scrivono gli autori, "preannuncia la comparsa di un batterio davvero resistente ai farmaci". Il timore è che quanto scoperto rappresenti
"la fine" di questa tipologia di farmaci che hanno salvato molte vite. "Siamo entrati in un’era post-antibiotica", ha detto Thomas R. Frieden, direttore dei Centers
for Disease Control and Prevention, l'ente che si occupa di salute pubblica.
"Servono nuove cure”, dicono gli esperti, chiedendo di fatto fondi per la ricerca perchè è necessario trovare trattamenti contro questi batteri resistenti. Lo scrivono “papale
papale” nello studio coordinato da Walter Reed del National Military Medical Center. "Da  quanto sappiamo - ha spiegato Reed - è il primo caso di mcr-1  negli Usa".
Un problema quello dell'antibioticoresistenza del quale si era par lato qualche giorno fa con la diffusione del rapporto "Review on Antimicrobial Resistance", voluto
dal premier David Cameron a metà del 2014. Secondo la ricerca nel 2050 le infezioni per le quali non avremo farmaci a disposizione potrebbero arrivare a uccidere
10 milioni di persone: una ogni tre secondi. Della capacità dei batteri di mutare si parla da sempre, come si parla del fatto che l'uso eccessivo degli antibiotici favorisca
queste mutazioni. Sul banco degli imputati non solo per le cure umane e l'uso spesso inadeguato e “fai da te” degli antibiotici contro malattie come quelle virali per cui
non servono, ma soprattutto l'uso nella zootecnia, spesso vengono usati in maniera massiva sui capi per prevenire infezioni e non basta il periodo di “decantazione”
previsto prima della macellazione. Non a caso negli Usa queste “cure” sui bovini sono esasperate e proprio lì si sarebbe conclamata la malattia. Una situazione seria
che sarebbe un errore sottovalutare ma sulla quale è necessario porre attenzione che non diventi una nova slot machine a disposizioni della multinazionali del farmaco.
A individuare per la prima volta questo gene mcr-1, che permette ai batteri di diventare resistenti, è stato uno studio cinese a novembre scorso. La ricerra aveva individuato il gene in batteri comuni ma potenzialmente mortali come l'escherichia coli eklebsiella penumoniae, responsabili di polmoniti e di malattie ematiche. Di fatto questo gene
rende questi batteri incurabili. Inoltre è in grado di diffondersi facilmente da un ceppo all'altro e questo fa temere che abbia un forte "potenziale epidemico".